Rapidshare dovrà rimuovere i contenuti che violano il diritto d’autore, dovrà vigilare preventivamente sui contenuti caricati dagli utenti. E dovrà tenere traccia degli IP responsabili di aver condiviso materiale messo a disposizione senza rispetto per i detentori dei diritti.
A stabilirlo è una corte di Amburgo, chiamata a pronunciarsi su un caso avviato lo scorso anno. Era stata GEMA, il corrispettivo tedesco della SIAE, a scagliarsi contro RapidShare: riteneva inaccettabile che il servizio di hosting lucrasse sulle violazioni del diritto d’autore perpetrate dai suoi utenti . Offrire servizi premium per consentire agli utenti di caricare bit di opere protette significa, a parere di GEMA, incentivare la condivisione di materiali da cui altri attori del mercato avrebbero dovuto trarre guadagno. Il giudice aveva compreso che la responsabilità dell’upload fosse da imputare ai netizen e non alla piattaforma, aveva però considerato il laissez-faire di RapidShare come una testimonianza della propria complicità con gli utenti, ai quali vendeva gli strumenti per pubblicare contenuti.
RapidShare da tempo provvede a rimuovere i contenuti su segnalazione : uno staff di sei persone verifica se il materiale caricato e segnalato dai netizen violi il diritto d’autore e provvede a gestire le rimozioni. Il servizio di hosting ha altresì introdotto un sistema di hashing con cui cataloga il materiale pubblicato illecitamente: in questo modo assicura che i file già rimossi non ritornino a circolare sui propri server. Queste disposizioni non sono apparse sufficienti al giudice della corte di Amburgo: basta alterare pochi bit per aggirare il sistema di hashing, il manipolo di sei impiegati non costituisce una forza lavoro abbastanza nutrita per arginare le violazioni.
Per questo motivo la corte ha stabilito che RapidShare debba organizzarsi per mettere in campo ben altre misure: “Un servizio che non usi adeguati metodi di protezione – recita la decisione del giudice – non può dichiararsi rispettoso della legge”. È così che il giudice prescrive a RapidShare di “controllare in maniera proattiva il contenuto prima di pubblicarlo”. Il servizio di hosting, per adeguarsi alle disposizioni del tribunale, dovrà moltiplicare la propria forza lavoro e impiegarla nella fruizione di centinaia di migliaia di contenuti prima di accordare la pubblicazione.
Poco importa che il servizio di hosting sia impiegato per uso personale e che un utente scelga RapidShare invece che i supporti fisici per archiviare materiale legittimamente acquistato. Poco importa che si operi un controllo preventivo su quello che viene depositato sui server dagli utenti, poco importa che il setaccio umano rischi di rivelarsi vano nel momento in cui si postino contenuti protetti da cifratura: è quanto ha deciso il giudice. A RapidShare è stato inoltre imposto di vigilare non solo sui contenuti, ma anche sugli utenti: dovrà tenere sotto controllo e registrare gli indirizzi IP di coloro che usufruiscono del servizio, dovrà radiare coloro che, rappresentati da un indirizzo IP statico, venissero colti a mettere in atto ripetuti upload di contenuti proibiti.
Le conseguenze della decisione del magistrato? Improbabile che i provvedimenti presi per richiamare all’ordine RapidShare possano arrestare l’avanzata dei servizi di hosting che gli utenti stanno iniziando a brandire come alternativa al P2P. Il provvedimento si configura però come un pericoloso precedente per la rete tedesca: l’intera categoria degli intermediari potrebbe dover correre ai ripari.
Gaia Bottà