Non filtri preventivi e algoritmi che analizzino i file impedendo il caricamento di tutto ciò che violi il diritto d’autore, ma un attento monitoraggio del Web che indirizza verso i file che ospita. E una pronta rimozione di ciò che venga riconosciuto come illegale. È questa la decisione della Corte Suprema tedesca, che ha respinto un appello presentato dal servizio di file hosting svizzero RapidShare.
L’ ultimo capitolo del caso che convoglia le rivendicazioni dell’associazione dei Librai ed Editori tedeschi e della collecting society GEMA non fa che confermare la precedente decisione emessa dalla corte regionale di Amburgo nel marzo del 2012: se l’operato di RapidShare può considerarsi in linea teorica legale, per rimanere tale il servizio deve assicurare una sistematica analisi dei link che puntano verso le proprie pagine e la pronta rimozione dei file raggiungibili a questi link qualora siano caricati e condivisi in violazione del diritto d’autore. La copia privata resta diritto del cittadino, e RapidShare deve soffocare la condivisione illecita, che, come ha avuto modo di sottolineare lo stesso servizio di hosting, comporta la volontaria diffusione di informazioni relative al file da parte di colui che lo ha caricato.
Il testo completo della sentenza della Corte Suprema deve ancora essere reso pubblico, ma i detentori dei diritti lo hanno già accolto con favore: “I servizi di hosting come RapidShare non possono più nascondersi dietro scuse vaghe – ha commentato Alexander Skipis, ai vertici dell’associazione di librai ed editori – devono assumersi la responsabilità dei contenuti degli utenti”. RapidShare, che non ha ancora offerto un commento riguardo alla decisione, non avrebbe finora offerto tutele adeguate , sottolinea GEMA.
Il servizio di hosting, che negli anni ha ammorbidito la propria intransigenza nei confronti dei detentori dei diritti fra fortune alterne in tribunale, ha già da tempo predisposto che il team che combatte gli abusi vigili sui link in entrata. Ma lo scorso anno aveva presentato il ricorso contro la decisione del tribunale di Amburgo proprio perché riteneva che imporre il monitoraggio estensivo dei link in entrata sarebbe stata una richiesta “dubbia da un punto di vista legale”. Piuttosto, suggeriva il servizio alle autorità statunitensi, dovrebbero essere le forze dell’antipirateria ad agire contro i “siti di terze parti che agevolano la distribuzione indiscriminata e di massa di contenuti protetti dal copyright”, presumibilmente metamotori di ricerca specializzati o aggregatori di link che puntano sistematicamente a contenuti condivisi in violazione del diritto d’autore.
Gaia Bottà