C’è dell’oro nel rifiuto hi-tech. Ma c’è anche dell’iridio, dell’argento, del rame, del bismuto, un coacervo di materiali preziosi da cui trarre guadagno. C’è chi ne ha fatto una professione: si chiama urban mining , estrazione mineraria urbana. Le miniere sono le apparecchiature elettroniche a fine vita, le vene minerarie sono le più varie e sono più generose di quelle naturali, gli attrezzi del mestiere i più sofisticati.
“Per qualcuno è solo una montagna di spazzatura, ma per altri è una miniera d’oro”, annuncia Nozomu Yamanaka, a capo del complesso impianto di riciclaggio di Dowa Eco-Systems , azienda giapponese specializzata nella valorizzazione del rifiuto e nell’estrazione di minerali dagli artefatti dismessi. È questo un business che si sta rivelando sempre più indispensabile per il Giappone: le risorse minerarie garantite dal suolo non sono infatti sufficienti per alimentare un’industria tecnologica che ne ha infinito bisogno. Gli attori di questa catena del riciclaggio sono sempre di più, e il loro mestiere rende: il prezzo dell’oro e di altri elementi preziosi si mantiene stabilmente alto e l’industria continuerà a richiederli per le loro qualità. Se una miniera d’oro frutta cinque grammi del prezioso elemento da ogni tonnellata di materiale grezzo, una tonnellata di telefonini in disuso restituisce 150 grammi di oro , nonché un centinaio di chili di rame e tre chili di argento.
Per questo motivo il Giappone si è attrezzato perché nulla vada sprecato, per trarre frutto da un business sostenibile. Gli impianti di riciclaggio e smaltimento stanno iniziando a punteggiare il suolo giapponese: tutti sono equipaggiati con macchinari e strumenti capaci di garantire al contempo la massima efficienza nel processo di estrazione, il minimo impatto ambientale e la massima sicurezza per coloro che lavorano ai processi di estrazione.
Il procedimento di estrazione si dispiega in diverse fasi: si parte in primo luogo dall’intervento umano. C’è chi si preoccupa di smontare le apparecchiature a fine vita, per conservare solamente le componenti che si possono sottoporre al processo di riciclaggio. Seguono un bagno in solventi chimici, in modo che vengano eliminate le parti inservibili, e il vero e proprio processo di raffinazione , che conduce alla estrazione di 17 differenti materiali , dall’oro all’argento al rame, passando per il palladio e l’antimonio.
Ciò che si ricava dall’opera di riciclaggio ritornerà a far parte della catena del valore dell’industria dell’elettronica, oppure sarà rimesso in circolo come materiale prezioso. DOWA, ad esempio, produce anelli di oro sostenibile : per produrne uno è sufficiente rottamare 100 telefonini. Ma gli elementi preziosi vengono reinseriti sul mercato anche sotto forma di lingotti: DOWA ne sforna tra i 200 e i 300 al mese, per un valore che può sfiorare i 5,5 milioni di euro, quanto produrrebbe una miniera d’oro di modeste dimensioni.
Il business dei minatori di rifiuti che sta decollando in Giappone ha delle potenzialità inespresse: manca la materia prima , mancano i rottami tecnologici. In Giappone le persone sensibili alla questione ambientale nutrono una scarsa fiducia nel sistema di riciclaggio: non decidono di utilizzare i prodotti fino allo sfinimento ma li accumulano, inutilizzati. In altre parti del mondo, inoltre, i rottami hi-tech finiscono per alimentare le discariche generiche con i loro metalli preziosi e con i loro elementi nocivi per l’uomo, per il suolo e le acque.
La febbre del rifiuto sta montando: gli operatori del settore sono alla ricerca di materiale da trattare e da cui trarre materie prime da rivendere. I più agguerriti sono gli attori dei paesi emergenti: sostenuti dalle ecomafie, riescono spesso ad accaparrarsi lotti di rifiuti elettronici di cui i paesi più avanzati tentano di sbarazzarsi. Sono gli operatori con meno scrupoli quelli che riescono fare le migliori offerte: le tecniche per distillare i materiali di valore sono empiriche e irresponsabili , a basso costo, e pericolose per chi lavora nelle discariche abusive che costellano India , Cina e i paesi africani .
La via per garantire il recupero dei materiali preziosi, per innescare il circolo virtuoso e sostenibile dei rifiuti, non può che essere quella di un più stretto controllo da parte dalle istituzioni: già esistono delle normative come la convenzione di Basilea o le Direttive europee in materia di RAEE, che consentono l’esportazione di rottami hi-tech solo a certe condizioni. Solo una applicazione più rigorosa di tale quadro normativo potrà contribuire allo sviluppo del modello di business dello urban mining sostenibile.
Gaia Bottà
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