Roma – “In Giappone i cellulari sono diventati un giocattolo costoso”. Masaharu Kuba, a capo di una commissione nipponica che sta indagando sulla tribù del pollice, non si riferisce al denaro che i genitori sborsano per equipaggiare i pargoli con il gadget del momento: ai genitori costano le implicazioni del telefonino, costa riparare ai danni combinati dai figli, costa alimentare i ragazzi con la connettività che sappia far fronte alle loro esigenze comunicative.
Le relazioni fra i giovani giapponesi passano da tastiera e auricolari, moltitudini inscatolate in spazi angusti comunicano in mobilità , digitano sulle tastiere per ritagliarsi spazi personali, ingannano il tempo che li separa dalle loro remote destinazioni ingurgitando informazioni che si affollano sui piccoli schermi dei loro dispositivi connessi in rete. È così che nel momento in cui l’irresponsabilità e l’irruenza adolescenziale si combinano con queste abitudini, i ragazzi sembrano dipendere completamente dal telefonino, si imbattono in contenuti non sempre appropriati alla loro sensibilità, rischiano di invischiarsi in situazioni che corrono sul crinale della legalità .
Il governo giapponese è intervenuto per limitare i danni: una commissione istituita in seno al ministero dell’istruzione locale ha lanciato l’allarme e sta tracciando un piano per impedire che i ragazzi si lascino trascinare dal vortice della dipendenza. Le linee guida, presentate al Primo Ministro Yasuo Fukuda, dispensano raccomandazioni per tutti.
Innanzitutto l’attenzione della commissione si rivolge verso le istituzioni scolastiche e verso le famiglie , per responsabilizzarle. Un terzo degli studenti delle elementari ha a disposizione un telefonino, ne è dotato il 60 per cento dei ragazzini delle scuole medie, percentuali che vanno a coprire quasi la totalità dei ragazzi che frequentano gli istituti superiori. I genitori sembrano, loro malgrado, essere i complici di questa abitudine alla tecnologia che sfocia , a parere del governo, in un’allarmante ossessione.
La disponibilità dei genitori a finanziare la connettività di ragazzi, un’esigenza da 4mila yen al mese pro capite, circa 24 euro, potrebbe dipendere da compromessi stipulati con i ragazzi: controllo ubiquo in cambio di strumenti di comunicazione. Ma la commissione ha pensato anche a questo: i produttori di telefoni cellulari saranno invitati a mettere in commercio telefonini che consentano la sola possibilità di comunicare e la predisposizione per l’installazione di sistemi di localizzazione GPS che possano aggiornare costantemente i genitori sulla vita dei figli.
“Le famiglie giapponesi consegnano i telefonini nelle mani dei figli con troppa leggerezza” ha spiegato Masaharu Kuba: i genitori giapponesi sono all’oscuro delle abitudini dei ragazzi, non sanno che il traffico di email scorre fino a notte fonda, apprendono con sorpresa che i figli possono incorrere in reati tiranneggiando i conoscenti online e frequentando siti mediante i quali organizzare appuntamenti.
Per questo motivo, avvertono dalla commissione, via libera ai filtri che “proteggano i bambini da informazioni pericolose e dall’influenza negativa che l’uso del telefonino può esercitare su di loro”. Ma prima di tutto, raccomanda il Primo Ministro nipponico Fukuda bisognerebbe “chiedersi se i bimbi abbiano davvero bisogno del telefonino”.
Gaia Bottà
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