Poco più di 206.000 abitanti, situata a circa 70 Km da Tokyo nella prefettura di Ibaraki, Tsukuba è la prima città giapponese a sperimentare l’impiego della blockchain nelle operazioni di voto. Il sistema messo a punto sfrutta l’Individual Number (noto anche come My Number), l’equivalente nipponico della Social Security Card statunitense, al fine di certificare l’identità dell’elettore e scongiurare il rischio di compromissione dei dati raccolti: è sufficiente appoggiare il documento a un lettore collegato all’apparecchio per effettuare l’identificazione. In un primo momento la sua azione sarà limitata all’assegnazione di preferenze riguardanti progetti di contributo sociale, come riportato sulle pagine della testata Japan Times.
Voto e blockchain
Nel concreto, chi si reca alle urne esprime la propria preferenza su un display anziché apporre un segno con la matita su una scheda cartacea, una modalità che richiama alla mente il voto elettronico sperimentato in Italia nell’ottobre scorso in occasione del referendum consultivo per l’autonomia della Regione Lombardia. Vengono così ottimizzati i tempi e l’impiego del personale nei seggi, eliminando di fatto ogni operazione di spoglio.
Stando a quanto dichiarato dal primo cittadino Tatsuo Igarashi, la procedura è “semplice e minimalista”, ma la sua implementazione richiede evidentemente ancora qualche perfezionamento, come testimoniano le difficoltà incontrate da alcuni di coloro che l’hanno sperimentata: fra tutte, è necessario ricordare e inserire una password personale. Ciò che in ogni caso risulta interessante è sottolineare una volta di più come la struttura decentralizzata e il principio di funzionamento proprio della blockchain siano in grado di adattarsi agli ambiti più svariati, nonostante si sia abituati ad associarla quasi esclusivamente all’universo delle criptovalute e all’ambito Fintech.
Anche negli USA
Un’iniziativa simile è stata messa in campo negli Stati Uniti dalla Virginia Occidentale in vista delle elezioni di medio termine, per consentire ai soldati che svolgono il proprio ruolo lontano dal luogo di residenza di esprimere il voto. In questo caso il riconoscimento avviene attraverso un software di analisi del volto e la preferenza è salvata in modo anonimo all’interno della blockchain.
La scelta di Tsukuba come primo centro del paese per includere un sistema di questo tipo nel processo democratico non è affatto casuale: l’area ospita una delle più importanti tecnopoli al mondo, la Science City, che fin dagli anni ’70 ha attirato investimenti pubblici e privati, spingendo la ricerca e lo sviluppo in settori come l’elettronica, l’automazione e le biotecnologie.
La blockchain è la soluzione?
La blockchain è la soluzione a tutti i mali degli attuali sistemi di voto? Non lo è, o almeno non ancora. Esistono due tipi di ragione. Anzitutto v’è un problema di identificabilità dell’utente: l’identità è anonimizzata da carta e penna, mentre in un qualsivoglia sistema elettronico bisogna adottare opportuni accorgimenti crittografici per garantire la non riconoscibilità del votante (e del voto). Inoltre v’è una questione legata alla verificabilità ex-post del voto, affinché si possa verificare in qualsiasi momento che il risultato non sia stato manomesso. Da non sottovalutare anche il fatto che qualsiasi sistema di password che consenta di decrittare un voto possa essere la migliore delle dimostrazioni di una avvenuta preferenza (come a dire: non servirebbe neppure fotografare la scheda come avviene oggi, perché il voto di scambio sarebbe dimostrabile in modo inoppugnabile).
Molti aspetti che si danno per scontati nell’attuale sistema dell’urna, della carta e della matita (al netto delle bufale sulla punta da leccare) emergono nel momento in cui scatta il confronto con processi completamente digitalizzati. Cambiare tecnologia, infatti, cambia i paradigmi in campo e le valutazioni di opportunità si fanno complesse. L’esperienza giapponese potrebbe essere molto importante per mettere alla prova il sistema della blockchain, ma al momento non sussistono sufficienti garanzie per una adozione su larga scala.
Laddove la sacralità del voto vuole essere mantenuta, la tecnologia in uso deve essere cambiata con estrema circospezione. L’innovazione non può irrompere sul voto se non ha dimostrato dal punto di vista teorico di poter reggere a qualsivoglia prova, qualsivoglia dubbio e qualsivoglia contestazione. O almeno fin quando una nuova tecnologia non ha dimostrato di poter fare meglio della precedente.