A un anno e mezzo circa dall’esplosione della pandemia, c’è chi si è chiesto come stanno e cosa pensano coloro che nel momento più difficile della crisi sanitaria, nonostante blocchi e lockdown per la popolazione, a livello globale hanno continuato a circolare per le strade con zaini carichi di cibo e prodotti da consegnare a domicilio. L’organizzazione Rest of World ha pubblicato i risultati di uno studio condotto coinvolgendo circa 5.000 lavoratori della gig economy distribuiti in 15 paesi. Sono state poste poche domande, ma mirate. Quattro le categorie chiamate in causa: rider del food delivery, autisti, collaboratori domestici e operatori sanitari.
Come stanno i lavoratori della gig economy?
Questi in breve i risultati. Il compenso è ritenuto in generale soddisfacente, con oltre 11 paesi su 15 in cui la soglia di chi si dichiara appagato supera il 50% (si passa dal 69,1% dell’India al 32,2% dell’Ucraina). Complessivamente, il 65% afferma di essere felice della propria situazione, anche se molti degli intervistati (generalmente tra il 38% e il 51% a seconda del territorio) non hanno l’intento di continuare con l’impiego per oltre un anno, ritenendolo di fatto una sorta di rimedio temporaneo in attesa di trovare altro. Uno scenario caratterizzato da più d’una contraddizione, con tutta probabilità attribuibile a un’incerta prospettiva per il futuro.
Per approfondimenti e ulteriori dettagli sulla ricerca invitiamo a visitare Rest of World. Doveroso precisare che il nostro non rientra tra i 15 paesi scelti per condurre lo studio (sono Russia, Messico, Argentina, Kenya, Brasile, Sudafrica, Colombia, Ucraina, Nigeria, Turchia, Ghana, Etiopia, Pakistan, Indonesia e India).
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Il forte incremento del business generato dalle piattaforme legate al modello di gig economy ha interessato anche l’Italia, coinvolgendo un numero importante di nuovi collaboratori e rilanciando la discussione in merito al trattamento riservato loro, in primis a livello contrattuale. Rimanendo entro i nostri confini, ci sono stati interventi delle autorità con multe per questioni legate alla privacy e un commissariamento per caporalato.