Oggi, 15 aprile, è la “Giornata della ricerca italiana nel mondo“. Istituita nel 2018 dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, d’intesa con la Farnesina e il Ministero della Salute, si tratta di un momento pensato per celebrare il contributo dei ricercatori italiani al mondo della ricerca. La data del 15 aprile non è casuale, ma coincidente con la data di nascita di Leonardo Da Vinci.
La giornata sarà celebrata in molti modi, con ben 116 sedi diplomatiche in 79 paesi ad aver programmato un qualche momento di riflessione coinvolgente scienziati, ricercatori o rappresentanti delle imprese tecnologiche italiane. Una mobilitazione che coinvolge il mondo intero, insomma, attorno al baccello della ricerca italiana.
Non solo “cervelli in fuga”
Il dibattito degli ultimi anni si è trincerato in modo sterile e semplicistico dietro al luogo comune dei “cervelli in fuga“. Ciò non significa che il problema non esista, tutt’altro. Tuttavia trasformare il problema in un hashtag significa fare esattamente il contrario di quel che richiede un metodo scientifico: dietro alla bandierina dei “cervelli in fuga” si cela infatti un grande grappolo di problematiche che, unite, creano una grave barriera a quella che potrebbe essere la piena espressione delle possibilità italiane nella ricerca.
In questa definizione c’è anzitutto una generalizzazione che non rende onore a chi, quasi per una forma di involontaria di esilio, si trova costretto a spostare altrove le proprie attività poiché carente di strutture, risorse ed ecosistema utili a raggiungere i propri obiettivi e le proprie ambizioni. Molti – troppi – retaggi hanno incasellato la ricerca in qualcosa di collaterale (invece che funzionale) alla crescita e ciò ha fatto sì che la ricerca scientifica non fosse mai messa realmente al centro dell’agenda politica. Anzi.
Mettere al bando i puerili dibattiti sui “cervelli in fuga”, e dar invece fiato ad un più sostanziale dibattito sulla necessità di finanziare, sostenere e supportare i ricercatori italiani, significherebbe molto per il raggiungimento dell’obiettivo. Il tutto, lo dicono le statistiche, con ritorni pesanti sia a livello occupazionale che economico. La ricerca, soprattutto la ricerca italiana, è un potenziale che il nostro paese nutre e soffoca, strangolata in un complesso di Medea che occorrerebbe una volta per tutte affrontare e superare.
Un paese ove il metodo scientifico è stato spesso messo all’angolo in favore di altre dinamiche ben meno floride, oggi dovrebbe credere nella ricerca non soltanto come necessità, ma anche come momento di evoluzione identitaria. Credere nella scienza significa credere nel vero e nel dimostrabile, nella fatica del raggiungimento di un risultato dal valore autentico: credere nella ricerca scientifica significa porsi un obiettivo per cercare il giusto percorso, abiurando la scorciatoia e le alchimie che in ogni ambito permeano invece oggi con troppa facilità.
Scienza, senza confini
Ma c’è anche un passo ulteriore da affrontare, ossia l’idea che la ricerca possa essere definita “italiana”. La ricerca, per sua stessa definizione, non ha e non può avere confini. Se il termine di “ricerca italiana” ha assolutamente senso, tale significato non può però essere afferente ad una forma di proprietà, quanto ad una forma di orgoglio. L’Italia deve essere orgogliosa dei suoi ricercatori e tale orgoglio dovrebbe, invece di essere fine a sé stesso ed all’apposizione di bandierine, orientato a creare nuove ed ulteriori opportunità per coloro i quali, impegnando una vita intera nella ricerca, possono consegnare ai colori della nostra bandiera una brillantezza troppo spesso spenta.
La scienza non ha confini e, quando li ha avuti, è stato un dramma per tutti. La scienza è bene comune e la ricerca scientifica è quel motore che consente all’uomo di sconfiggere le malattie, inseguire la sostenibilità, elaborare nuove soluzioni. Esiste un “genio italiano”? Lo dice la storia: sì, esiste. Esiste come frutto di un percorso storico e culturale che ha disseminato nel nostro paese nomi che hanno letteralmente scritto capitoli fondamentali della scienza. Da Leonardo Da Vinci a Enrico Fermi, da Galilei a Pacinotti, passando per Schiaparelli e mille altri nomi, la piccola e vituperata Italia ha sempre messo la propria firma nonostante i mille ostacoli di un sostrato sociale, politico ed economico mai realmente favorevole.
Il genio italiano deve rimanere un orgoglio, ma è un orgoglio da guardare pragmaticamente come un piccolo tesoro fortunatamente ereditato e necessariamente da custodire e coltivare.
Ricercatori italiani all’estero
Chiunque voglia capire cosa è la ricerca italiana nel mondo, può dare un’occhiata ad un elenco come questo del Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze Fisiche della Materia (CNISM). Un elenco come tanti, in ordine alfabetico, di tanti giovani in giro per il mondo che ogni mattina applicano il metodo scientifico alle proprie intuizioni per giungere a risultati in grado di creare nuove opportunità per il genere umano. Tante piccole storie celate dietro tanti nomi. La ricerca è questo: un lungo elenco di persone che investono la propria vita, la propria creatività e la propria abnegazione in un obiettivo – spesso e volentieri un obiettivo collettivo.
Meglio non trincerarsi dietro la semplificazione dei “cervelli in fuga”: basta guardarli negli occhi per capire che non c’è nessuno che sta scappando da qualcosa, ma c’è soltanto una grande popolazione di persone capaci in cerca del giusto contesto ove coltivare il potenziale che hanno costruito attraverso gli studi nella scuola, nella società e nella cultura italiane. Diamo loro l’opportunità di non fuggire, lasciando che “cervelli in fuga” diventi sinonimo di selezione naturale e non di pezza alle nostre mancanze.
Del resto c’è anche un altro lato della medaglia da non sottovalutare: quando l’ecosistema diventa favorevole, non solo i ricercatori non andranno più altrove, ma l’Italia diventerà anche piattaforma in grado di attirare talenti dall’estero. Ma più ci si concentra sui cervelli in fuga e meno si lavora per far crescere la piattaforma Italia. Quello che nel mondo startup sembra essere un concetto ormai consolidato, nel mondo della ricerca ancora non ha fatto presa: c’è molto da lavorare in merito, fino ad imporre il problema all’agenda politica, fino a far cambiare rotta a chi intercetta i temi nella società civile per portarli nelle sale dei bottoni.
Sosteniamo la ricerca con il 5 per mille
Là dove non arriva la politica, può arrivare ognuno di noi. La politica ha infatti confinato la ricerca ad un numero identificativo di una quota percentuale del PIL, quasi un obolo dovuto (e quanto minore possibile) per pulire la coscienza di un mandato parlamentare. Sostenere la ricerca dovrebbe essere altro: dovrebbe significare organizzazione, tessuto connettivo (qui le molte associazioni dei ricercatori italiani nel mondo), collaborazione, consapevolezza, rigenerazione. Se la politica non lo sa fare, ognuno di noi può tuttavia dare un segno con una semplice indicazione relativa alla donazione del cinque per mille.
Il cinque per mille è una donazione gratuita, nel senso che il prelievo avviene sempre e comunque a tutti i contribuenti italiani: possiamo solo sceglierne la destinazione, oppure lasciare che un algoritmo di redistribuzione scelga per noi. Quello che ognuno di noi può fare proattivamente è scegliere ove inviare il proprio cinque per mille, quindi, definendo esattamente la destinazione di tale denaro. Nelle prossime settimane, quando verrà il momento di compilare i moduli per il pagamento delle imposte, sarà possibile scegliere una di queste destinazioni: questo è l’elenco in PDF degli enti iscritti per il 2019 alla lista dell’Agenzia delle Entrate dedicata alla ricerca scientifica; questo invece è l’elenco in PDF degli enti iscritti in riferimento più nello specifico alla ricerca sanitaria.