Gli italiani fanno una cosa sola online. Cosa? Eh no, non è questo il punto. Il problema non è in cosa fanno, ma in cosa NON fanno. E il fatto che gli italiani abbiano un uso oltremodo limitato della rete è il problema vero sul quale occorre focalizzarsi. Anche perché il confronto con gli altri paesi è a dir poco impietoso.
Il dato emerge da un recente report dell’OECD iLibrary, un ampio trattato statistico relativo a “Opportunità e rischi della trasformazione digitale per il benessere delle persone“: non un documento dell’ultim’ora, ma una approfondita analisi che torna di immediata attualità in questo preciso contesto. Il report, che viene introdotto con la premessa per cui le nuove tecnologie siano ormai fondamentali per il benessere e l’inclusione sociale, arriva a porre in evidenza un dato clamoroso per il territorio italiano: non solo gli italiani sono tra i popoli meno abituati all’uso di Internet, ma sono anche in assoluto il popolo che online fa il minor numero di attività: una, una soltanto. Peggio dell’Italia, solo la Turchia.
Cosa fanno gli italiani online?
La statistica prevede nello specifico il monitoraggio delle seguenti attività possibili:
- inviare e-mail;
- trovare informazioni su beni e servizi
- download software
- consultare documenti Wiki
- Internet banking
- VoIP o videocall
- streaming di video, giochi o musica
- acquisti online
- visitare siti istituzionali o interagire con autorità pubbliche
Occorre dunque leggere questa lista e pensarla esattamente così: di tutte queste attività, gran parte della popolazione non ne fa più di una durante il proprio tempo passato online. E vien da pensare che la scelta non è nemmeno tra le più nobili dell’elenco indicato. Il dato mette assieme il numero di attività svolte da almeno la metà della popolazione, segnando al contempo anche il primo e l’ultimo percentile per meglio esplicare la distribuzione statistica.
Se il primo percentile, posizionato a livello 7, equivale sostanzialmente agli altri paesi, l’ultimo percentile è invece a livelli minimi e la media è di fondo sostanzialmente bassa. Bassissima. Il dato è eclatante, quindi: nel momento in cui il Paese alza la testa da un decennio di cronico digital divide, si trova a dover fare i conti con una evidente inerzia culturale e con un pericoloso analfabetismo digitale.
Un pesantissimo gap
Lo si è detto a più riprese: ne ha parlato il Team per la Trasformazione Digitale nel momento in cui ha fotografato le basse skill digitali degli italiani (premessa per il lancio dell’iniziativa Repubblica Digitale), lo ha ribadito la Commissione Europea con un report sull’e-government a livello continentale. Il problema non è più la rete, né la disponibilità dei servizi: gli italiani non possono più nascondersi dietro a foglie di fico, perché le vergogne stanno venendo a galla.
I dati OECD iLibrary sono a tal proposito spiazzanti: c’è un clamoroso gap tra le capacità di uso della rete da parte di una piccola fetta della popolazione (25%) e la maggioranza relativa (50%). Questa differenza pesa tutta sulle spalle di quanti cercano di evolvere performance, trasparenza ed efficienza del sistema Italia attraverso il digitale, che sia espressa nella forma di un accesso SPID, di una posta elettronica certificata, di una fattura elettronica o altre tecnologie che possano far cambiare marcia al paese. A venir meno sono le competenze di fondo che permettono di accedere in modo semplice a queste tecnologie, costringendo così l’innovazione a procedere con il freno a mano tirato.
Il problema della scuola
Ma in questa situazione c’è un’ulteriore allarme che l’Italia deve affrontare. La scuola, infatti, potrebbe essere una leva fondamentale per improntare le nuove generazioni sulla retta via, ma proprio nella scuola il nostro paese soffre una delle proprie peggiori situazioni. Nel nostro paese, infatti, ben il 36% del corpo docenti ha seri problemi in termini di skill ICT. Sebbene possa essere una valutazione superficiale, l’età media dei docenti è un primo parametro di valutazione da tenere in considerazione: secondo l’OCSE, infatti, in Italia l’età media si assesta a 49 anni contro i 44 della media: medesimo gap è a livello di dirigenza scolastica, ove l’Italia si assesta a 56 anni contro i 52 medi.
In media in Italia, il 47% degli insegnanti “frequentemente” o “sempre” fa utilizzare agli studenti le TIC per progetti o lavori in classe, dato inferiore alla media dei paesi OCSE e delle economie che partecipano a TALIS (53%).
Il corpo docenti non fa mistero di sentire addosso questa difficoltà, ma non vi sono segnali che indichino un lavoro di aggiornamento tale da poter cambiare le cose nel breve periodo. Il problema del corpo docenti è dunque destinato a riverberarsi nei metodi di insegnamento e sulle nuove generazioni, rallentando così quel necessario recupero in termini di skill e di abitudine alle nuove tecnologie di cui la popolazione italiana ha assoluto bisogno. Questione di benessere, di economia, di inclusione, di cultura. Questione politica, a tutto tondo, di cui la politica sembra però non curarsi.