Washington (USA) – Il Governo statunitense ha deciso di ratificare il protocollo sul cybercrime redatto dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. La normativa estende i poteri di polizia e di indagine in ambito digitale, e dovrebbe rendere più agevoli le attività di cooperazione fra i diversi paesi. Sebbene gli Stati Uniti abbiano già sottoscritto nel 2001 il primo trattato internazionale , insieme alla metà degli stati comunitari e a Sudafrica, Canada e Giappone, solo adesso hanno confermato la loro totale adesione all’asset normativo del protocollo del 2002 .
Negli ultimi cinque anni le associazioni per i diritti civili si sono opposte duramente ad alcune norme che sono in grado di estendere troppo i poteri delle autorità e di violare il diritto alla libertà di espressione. Gli Stati Uniti, quindi, avevano deciso di rimanere alla finestra, consapevoli dell’ incompatibilità del protocollo europeo con il Primo Emendamento. Uno dei temi centrali del documento, infatti, riguarda proprio la possibilità di perseguire i gestori di siti considerati illegali – come quelli razzisti.
Ma in questi anni, ed esattamente dopo l’11 settembre 2001, qualcosa è cambiato. La Presidenza Bush ha deciso di rafforzare i poteri di sorveglianza e anti-crimine, con il pieno sostegno di una consolidata maggioranza parlamentare Repubblicana e di un’opinione pubblica sempre più preoccupata per il crescente fenomeno terroristico. L’obiettivo di combattere il cybercrime internazionale, quindi, si è trasformato in una nuova priorità che non può prescindere dalla cooperazione internazionale.
Dal prossimo primo gennaio 2007 il protocollo europeo farà parte della Legge statunitense. “Aiuterà a proteggere i cittadini dall’hacking e dalle frodi online, così come dai crescenti fenomeni criminali digitali legati alla pedofilia e al terrorismo”, ha dichiarato Sean McCormack, portavoce del Dipartimento di Stato statunitense. “L’Assemblea del Consiglio d’Europa ha deciso di affrontare, giustamente, la questione del crimine digitale internazionale affidandosi alla cooperazione. Siamo convinti, quindi, che tutti gli stati dovrebbero aderire al progetto”.
La tesi di McCormack, però, non è condivisa dalle associazioni per i diritti civili. Il rischio, secondo gli attivisti, è che alcuni paesi possano approfittarne per attivare azioni di sorveglianza nei confronti di persone che nel loro paese di residenza non violano alcuna legge. “Nel caso in cui gli Stati Uniti decidessero di indagare su cittadini francesi per un presunto reato, gli inquirenti locali dovrebbero soddisfare la richiesta a prescindere dalle normative del paese”, ha spiegato Danny ÒBrien, coordinatore di Electronic Frontier Foundation .
Inoltre, il protocollo prevede la piena collaborazione degli Internet Service Provider, e delle attività commerciali online, che dovrebbero partecipare alle azioni di indagine archiviando tutto il traffico generato dagli utenti. Insomma, ogni movimento online sarebbe destinato ad una registrazione eterna.