La parola d’ordine dei servizi remoti è efficienza, sia che si parli dell’utente finale che dei consumi dell’hardware vero e proprio. E vista la centralità del ruolo giocato dal suo motore di ricerca nella moderna Internet web-dipendente, Google è in prima fila tra le società impegnate a spingere sempre più in avanti i parametri di efficienza sia lato-server che client.
Sui client l’efficienza fa rima con AJAX , la tecnica di programmazione a base di JavaScript e XML considerata la base portante del cosiddetto Web 2.0. Già tempo fa Google aveva cominciato a sperimentare un engine in AJAX per la presentazione a video dei risultati nel suo motore di ricerca , e ora il portavoce Eitan Bencuya conferma l’intenzione dell’azienda di sostituire i risultati in puro codice HTML con pagine dinamiche in cui a essere caricate ogni volta sono solo le ricerche di cui sopra e non l’intero portale.
Il nuovo step evolutivo del costantemente cangiante search engine di Mountain View era già emerso grazie alla realizzazione di un tweak per aggiustare il modo in cui i referral processano le URL a cui gli utenti vengono spediti dopo aver cercato su Google. L’utilizzo di codice AJAX sulle ricerche di un numero limitato di utenti, spiegava questo marzo il Google software engineerer Matt Cutts, ha portato al mancato invio di referral da parte del browser e l’impossibilità per i tool analitici di valutare il punto di partenza del traffico verso un sito.
Il problema è stato risolto con un nuovo formato per il referrer , che permetterà di continuare a gestire correttamente i referral anche con l’interfaccia AJAX in via di sperimentazione. I referral sono uno strumento importante per chi gestisce un sito web e per chi si occupa di advertising, ragion per cui Google non ha intenzione di tarpare le ali a questa funzionalità mentre verifica quanti millisecondi faccia risparmiare una GUI interamente in JavaScript piuttosto che un form di ricerca in HTML.
Per quanto riguarda l’efficienza lato-server, poi, Mountain View ha già messo in mostra gli sforzi sin qui compiuti nella progettazione dei data center-container , dotati di un design che massimizza l’efficienza energetica misurata in Power Usage Effectiveness . Gli ultimi dati comunicati da Google e risalenti al 15 marzo parlano di un indice PUE medio di 1,15 su un quarto di anno, una media annuale di 1,19 e un PUE minimo di ogni impianto di 1,12.
Google si è in sostanza avvicinata alla quasi parità tra l’energia elettrica immessa nei sistemi e quella effettivamente consumata dai server , un risultato ottenuto grazie al design intelligente dei container che ospitano le macchine, l’acqua che ne raffredda “i bollori”, la batteria UPS presente all’interno di ogni singolo PC e le modalità di installazione dell’hardware.
Ma l’efficienza si misura anche nel modo in cui si riesce a sfruttare lo “scarto” di calore sviluppato da quel rumoroso groviglio di ferraglia pulsante che anima ogni CED moderno. Telehouse West lo sa bene, visto che è in procinto di realizzare un nuovo data center londinese capace di trasportare il suddetto scarto nelle strutture e gli edifici presenti nel circondario . Così facendo, l’impianto dal valore di 180 milioni di dollari potrà ridurre il suo “peso” in CO2 di 1.110 tonnellate, una quantità di energia equivalente a quella prodotta da “3.000 bollitori in funzionamento continuato”, sostiene Telehouse.
Alfonso Maruccia