Google assembla anteprime delle pagine che batte a tappeto, estrae pillole di testi che dovrebbero rappresentare i siti che restituisce agli utenti, indirizza i cittadini della rete verso le chiavi di ricerca più cercate. Agisce meccanicamente per distillare del senso a mezzo algoritmi: c’è chi ritiene Google responsabile dei contenuti offerti attraverso questi servizi, c’è chi riconosce che Google non ha possibilità di vagliare il senso di quanto creato con questi strumenti.
Google è colpevole per la giustizia francese . Oggetto del contendere, il servizio Suggest, con cui BigG avanza proposte a favore di cittadini della rete che si accingano interrogare il motore di ricerca. Gli utenti che si rivolgevano a Google.fr per reperire informazioni riguardo all’azienda Direct Energie si imbattevano in un suggerimento di ricerca che abbinava il marchio alla chiave di ricerca arnaque , il corrispettivo francese di “frode”.
L’azienda ha ritenuto il suggerimento diffamante e si è rivolta al Tribunal de commerce parigino: ha chiesto la rimozione del suggerimento, ha chiesto un risarcimento che sapesse compensare il danno d’immagine inferto a mezzo algoritmo. Google si è difesa sostenendo che Suggest è una “funzione che opera in maniera statistica, automatica e oggettiva”: la funzione di completamento automatico delle ricerche è basata non sulle scelte della Grande G ma sulle parole chiave chiamate in causa più frequentemente dagli utenti. Per questo motivo non ci sarebbero state le basi giuridiche per chiamare in causa il motore di ricerca con i suoi algoritmi.
Il tribunale non ha però accolto le giustificazioni di Mountain View: il motore di ricerca si sarebbe reso complice di una campagna diffamatoria e per questo motivo avrebbe dovuto procedere alla rimozione del suggerimento di ricerca che associasse a Direct Energie la parole chiave “truffa”. ” Direct Energie arnaque ” non figura ora più nei risultati proposti: Google ha provveduto alla cancellazione del suggerimento nel giro di 8 giorni dalla decisione del giudice. Ma Big G è ricorsa in appello, decisa a difendere il proprio status di mero fornitore di un servizio.
Nel Regno Unito le vicende si sono dipanate in maniera differente. Sotto accusa erano gli snippet, le anteprime che Google fornisce insieme ai risultati di ricerca. La descrizione di un link, estratta dal testo della pagina di un forum a cui puntava, conteneva degli stralci definiti diffamatori da Metropolitan International Schools Ltd, istituto per la formazione a distanza. Nei thread intercettati dai bot di Google si affollavano i commenti e le opinioni degli utenti : c’era chi definiva il servizio fornito dalla scuola “niente altro che una truffa” e proprio questa definizione figurava nella descrizione del link restituito da Google fra i primi risultati i ricerca a coloro che desiderassero informarsi riguardo all’istituto.
Il giudice ha ritenuto che Google non possa essere in alcun modo responsabile per un testo considerato lesivo della reputazione di un’azienda, assemblato senza l’intervento umano. Google, ha stabilito la corte, non si può ritenere un editore né può prevedere il contenuto degli snippet: ad essere chiamato in causa, il giudice conferma la posizione di Google, dovrebbe essere l’autore del testo e non coloro che, semplicemente, lo rendono accessibile.
Gaia Bottà