Dopo aver presentato ricorso contro la salata multa da 2,4 miliardi di euro inflitta dall’UE, Google cerca di trovare una soluzione per accontentare i player del mercato e allontanare il rischio di nuove sanzioni. L’oggetto del contendere è il servizio Google Shopping : lo strumento che compara e suggerisce prodotti in vendita avrebbe goduto di un’ingiusta priorità rispetto ai tool di comparazione della concorrenza . Viziando i risultati, Google avrebbe potuto godere delle fee riconosciute dai partner in cambio di migliori posizioni nei risultati di ricerca. A questo punto Mountain View deve fare un passo indietro rispetto alla sua posizione dominante eliminando l’ostacolo al libero mercato. E tenta di farlo proponendo un nuovo meccanismo di asta tra siti che si occupano di comparazione per lo shopping .
Stando a quanto riportato da Reuters la corporation dell’advertising vorrebbe “consentire ai competitor di fare un’offerta per ogni spot pubblicitario nella sua sezione conosciuta come Product Listing Ads”. Ricardo Cardoso, portavoce dell’azienda, ha confermato che “è responsabilità di Google garantire la conformità alla decisione dell’antitrust europeo e spetta alla stessa azienda spiegare come intende farlo”.
È presto però per dire se il commissario per la concorrenza Margrethe Vestager valuterà la soluzione come percorribile e sufficiente a mettere una pezza al danno. Lei stessa all’American Enterprise Institute a Washington ha confermato che “in questo momento è impossibile dire che cosa accadrà, ma ovviamente le reazioni del mercato saranno tra i fattori che prenderemo in considerazione”. E a quanto pare il mercato non sembra gradire la soluzione proposta da Mountain View. Secondo fonti vicine all’agenzia, Google avrebbe già interpellato le prime cinque aziende di comparazione coinvolte direttamente nella vicenda ottenendo quattro schiaccianti pareri negativi . Tra queste spicca il comparatore di prezzi inglese Foundem , la cui richiesta di intervento nel 2010 avrebbe stimolato la Commissione Europea a investigare e infine a punire Google. L’azienda ha ritenuto inappropriata la proposta di Google: “includere concorrenti del servizio di comparazione dello shopping di Google in una nuova o esistente asta sul modello pay-for-placement creerebbe semplicemente un’ulteriore barriera alla concorrenza”.
Dello stesso parere è anche Open Internet Project (Oip), associazione che riunisce i competitor di Google, che in una nota dichiara: “Un sistema di aste non sarebbe accettabile. Consentirebbe a Google di essere pagato dalle stesse vittime del suo abuso di posizione dominante, incoraggiandolo a tenere i competitor in una situazione dove non hanno altra scelta se non pagarlo per avere accesso al mercato”.
In passato Google aveva già provato a percorrere una strada simile, “riservandosi” i primi due blocchi pubblicitari e impostando un prezzo di base che avrebbe incluso le offerte della stessa Google meno i costi operativi. Ma anche in questo caso i vantaggi pro Google furono considerati eccessivi e ancora volta in ostacolo con il libero mercato.
Entro il 28 settembre Google deve mettere fine alle sue pratiche anti concorrenziali . Altrimenti sarà costretta a pagare un ulteriore penalità pari al 5 per cento dei proventi medi totali per ogni giorno, ovvero una cifra prossima ai 12 milioni di dollari al giorno. Sempre che il ricorso non venga accolto: possibilità abbastanza remota, ma non impossibile. Di recente, infatti, Intel è riuscita ad ottenere il riesame del caso che l’avrebbe vista costretta a pagare 1 miliardo di dollari per aver ostacolato il mercato dei chip. I suoi avvocati hanno criticato la mancata considerazione del test As-efficient-competitor (AEC), sostenuto dalla stessa Commissione Europea che offre un metodo per valutare se il “torto” sia dovuto ad una maggiore efficienza oppure creato con l’intento di danneggiare i concorrenti. In questo caso Google potrebbe dimostrare di aver agito lealmente contando su un prodotto qualitativamente superiore e per questo scelto dagli utenti ; ma al momento si tratta soltanto di una supposizione. Quel che è certo è che nel frattempo Google si stia muovendo con l’intento di rafforzare al massimo la team policy . La promozione di Caroline Atkinson, con un passato alla Casa Bianca in qualità di consulente economica dell’amministrazione Obama, sembra quindi rientra in questa strategia.
Mirko Zago
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