Ottocentocinquantamila nuovi dispositivi Android attivati ogni giorno: 850.000 , pari a una media tranquillamente sopra i 25 milioni di apparecchi al mese , 300 milioni di device totali dal lancio. Cifre impressionanti che Andy Rubin, colui che per Google regola l’esistenza di Android, snocciola al Mobile World Congress di Barcelona. E sono pure cifre parziali, che non tengono conto di tutti quei milioni di apparati come Set-Top-Box o come il Kindle Fire che funzionano grazie a un fork dell’OS di BigG ma che non sono ufficialmente androidi. C’è solo un piccolo neo nei numeri di Rubin: i tablet non vanno come dovrebbero.
Complessivamente, il mondo Android è florido: 450mila applicazioni in circolazione (rispetto a 1 anno fa, sempre a Barcelona, sono triplicate ), ogni mese oltre 1 miliardo di download dal Marketplace. Dunque, mettendo assieme attivazioni e traffico nello store delle app, il quadro è confortante: l’unica notabile eccezione è per l’appunto il comparto tablet , dove 12 milioni di apparecchi attivati (sempre dati forniti da Rubin) non sono quanti Google avrebbe voluto, desiderato, pronosticato. “Il 2012 sarà l’anno dove rilanceremo e ci assicureremo la vittoria in questo settore” prospetta ora il dirigente di BigG: in altre parole, se gli smartphone hanno fatto la parte del leone, ora toccherà ai tablet dimostrare il loro valore.
La questione è in realtà complessa. Le voci critiche sottolineano come il successo degli smartphone Android sia legato essenzialmente alla capillarità delle offerte degli operatori che comprendano telefoni con questo OS: in altre parole, più della piattaforma in sé – che avrebbe appeal tecnico per un pubblico tecnico , ovvero la minoranza – a far compiere a questa categoria di apparecchi il salto di qualità sarebbe stata la promozione e la diffusione garantite dalle telco , che nella natura flessibile e nella varietà di hardware disponibile hanno trovato la convenienza necessaria per integrare questi prodotti nei propri listini. Lo stesso non sarebbe successo con i tablet: in questo settore domina incontrastato iPad, che 12 milioni di pezzi li piazza ogni trimestre .
Il dato che non quadra, in questa ricostruzione, è che i numeri ribadiscono come Android l’abbia vinta su iOS anche nei mercati dove non ci sono sussidi per l’acquisto: in questo caso, evidentemente, gioca un ruolo decisivo il prezzo di vendita mediamente più basso degli smartphone Samsung, LG, HTC, Motorola, rispetto a quelli Apple. E i consumatori, convinti della sostanziale efficienza e completezza dell’offerta telefonica Android, a tutti gli effetti un portale di accesso ai servizi Google, optano per un prodotto con caratteristiche pari ad iPhone ma con un prezzo inferiore.
Quel che non convince i consumatori, a quanto pare, è come Android si comporta sugli schermi più grandi (e potenzialmente più remunerativi). Rubin smentisce, ancora, che sia necessario un formato di applicazioni specifico per le tavolette: il bello della piattaforma Google è che ci sono strumenti che ben si adattano ai diversi formati senza necessità di “rifare” il lavoro, e questo a tutto vantaggio dei produttori di device che possono sbizzarrirsi nello sperimentare con formati e dotazioni hardware differenti creando un ecosistema vasto e variegato. Sta di fatto che, nonostante ormai si siano consolidati cataloghi ampi nei magazzini di diversi produttori, il mercato non decolla: Samsung, che al MWC ha presentato l’ ennesima incarnazione del suo tablet da 10 pollici (è un Note sotto steroidi , ovvero un prodotto concettualmente identico al modello da 5 pollici che punta a rimpiazzare il Galaxy Tab 10.1 facendosi forza dello stilo), è costretta ad ammettere che “non stiamo facendo del nostro meglio nel mercato dei tablet”. E se non Samsung, chi altri può avere la forza di imporsi in questo comparto?
Il dirigente che ha ammesso la debolezza coreana , Hankil Yoon, si dice comunque ottimista per il prosieguo dell’anno: a suo giudizio il connubbio touch+penna dovrebbe garantire alla sua azienda di fare la differenza e dunque di piazzare qualche altro milione di apparecchi. Altra possibilità per ribaltare la sorte delle tavolette androidi sarebbe un massiccio investimento di Google nelle sorti della neo-acquisita Motorola : ma, è bene precisarlo , oggi il grosso dei cellulari con l’androide venduti non sono “made in USA”, piuttosto sono farina del sacco dei partner asiatici (HTC e Samsung in testa). BigG dovrà fare molta attenzione a come si muoverà per non dare l’impressione di fare favoritismi e conservare intatto, almeno per il momento, il rapporto con le sue galline dalle uova d’oro. E le prime dichiarazioni sono proprio in tal senso.
Cosa fare, dunque? Per Rubin , in conclusione, è tutta una questione di “evangelizzazione”: Apple ha il suo ecosistema, Microsoft si avvia a consolidare il proprio con l’uscita di Windows 8 e Windows Phone 8 (entro la fine dell’anno), Google deve convincere consumatori e sviluppatori della bontà e della solidità dell’ecosistema Android fatto di smartphone e anche di tablet. Curioso che, in tutto questo, nel discorso di Rubin non compaia mai la parola “frammentazione” (o “differenziazione”, come ama dire il suo presidente Eric Schmidt): ma è anche questo un tema che Android dovrà affrontare (ancora e ancora di più) nei prossimi mesi, visto che a oggi le versioni 3.0 e 4.0 del suo OS sono ancora valori decimali rispetto alla preponderanza di “vecchie” release come Gingerbread.
Luca Annunziata