Alla conferenza Google I/O di quest’anno c’era anche Andy Rubin, responsabile del progetto Android, che ha avuto modo di tornare sulla questione della “openness” dell’OS mobile più chiacchierato. Google Android è certamente open source, ma ha più di qualche problema a interagire in trasparenza con la community, dice Rubin.
Android, il fatto è noto , si avvia a essere un club esclusivo dove l’accesso alle ultime build del sistema è garantito solo a chi rispetta i dettami imposti da Mountain View: il codice resta open source, ma la possibilità di usufruirne in anteprima sul resto del mercato è blindata dietro la sempre più evidente volontà di controllo imperante al Googleplex .
Sulla questione Rubin ha da dire che sì, Android è e resterà a codice aperto, ma che c’è una bella differenza tra un progetto open e uno community-driven : “noi ci andiamo leggeri con la community”, ha detto Rubin durante la conferenza, spiegando che Google sta realizzando una piattaforma ubiqua fatta di API e non una banale “app” per smartphone.
“Quando hai a che fare con nuove API il processo di gestione basato su una community in genere non funziona” sostiene il manager, perché “è davvero difficile dire quando hai finito, ed è difficile dire quando si tratta di una release e quando di una beta. E gli sviluppatori hanno bisogno di sapere che le API che stanno usando siano finite”.
Stando all’opinione di Rubin, importanti progetti open source “community-driven” del calibro di Firefox, MySQL, Apache e Linux “non funzionano”: per questo la decisione difficile di Google di dirigersi in direzione diametralmente opposta ai dettami della openness, per il bene superiore della piattaforma, gli interessi degli sviluppatori e degli utenti.
Alfonso Maruccia