Google è stata condannata a pagare 20 milioni di dollari per la violazione di un brevetto relativo ad una tecnologia anti-malware che avrebbe adottato sul suo browser Chrome .
A stabilirlo è la sentenza della Corte distrettuale d’appello secondo cui Google non è riuscita a sostenere in maniera convincente l’invalidità dei brevetti chiamati in causa, mentre vi sarebbero testimonianze sufficienti a provare che le tecnologie protette da essi sarebbero violate da Chrome, in particolare dalla sua funzione sandbox.
I brevetti in questione, il numero RE43,500, il numero RE43,528 e il RE43,529, sono stati concessi ad Allen Rozman, ex sviluppatore Lucent morto nel 2012, e ad Alfonso J. Cioffi che ha portato avanti la causa fino all’appello: la Corte distrettuale di primo grado aveva infatti respinto il caso nel 2014.
Secondo Cioffi, e gli eredi Rozman, tuttavia, l’interpretazione di “web browser process” del giudice di primo grado era da considerare erronea: nella sua sentenza parlava di “di processo in grado di accedere ad un sito web senza l’utilizzo di un altro processore web” e, in base a tale definizione, una delle componenti di Google Chrome non risultava essere un browser web e non poteva essere pertanto essere rilevata la violazione dei brevetti in questione che rispondeva ad un problema tecnico specifico di tali strumenti.
Il giudice d’appello ha ora accolto la tesi sostenuta da Cioffi: per questo ha stabilito Google dovrà corrispondere, come royalty, 20 milioni di dollari a Cioffi e agli eredi di Rozman.
Google ha naturalmente già fatto appello alla Corte Suprema di Giustizia, appello che tuttavia è stato respinto: sta pertanto puntando ad ottenere l’annullamento dei brevetti su cui si basa la causa.
Claudio Tamburrino