Il supporto economico garantito da Google all’organizzazione di conservatori americani nota come American Legislative Exchange Council (ALEC), per il presidente Eric Schmidt si tratta di un capitolo chiuso che non si ripeterà in futuro. E la responsabilità è di ALEC, visto che l’organizzazione va spargendo in giro delle vere e proprie bugie sul cambiamento climatico.
Schmidt interviene sulla questione in una intervista rilasciata in radio , rivelando come Google non abbia più intenzione di rinnovare la sua “membership” di un’organizzazione che riceve finanziamenti dai colossi del petrolio (Exxon Mobil), è contraria al supporto governativo nei confronti delle risorse energetiche alternative, e vorrebbe classificare gli attivisti come terroristi. Inizialmente Mountain View ha dato il proprio supporto all’attività propagandistica di ALEC per questioni non pertinenti a quelle ambientali, sostiene Schmidt, ma ora tale supporto non è più rinnovabile perché chi nega il riscaldamento globale va contro i fatti e rende il mondo un posto molto peggiore per le future generazioni.
Alle parole di Schmidt risponde a stretto giro il CEO di ALEC Lisa Nelson, che riafferma la propria volontà di contrastare l’intervento del governo federale americano in questioni che dovrebbero attenere alle autorità locali ed è a favore dell’espansione delle risorse energetiche rinnovabili in proporzione alla domanda proveniente dai consumatori.
Il dato più inquietante di tutta la faccenda è però l’apparente natura duale delle iniziative lobbistiche di Mountain View e delle altre aziende hi-tech, colossi che continuano a finanziare i think-tank conservatori americani per le loro posizioni a favore della liberalizzazione del mercato tecnologico e delle comunicazioni telematiche, e che alla fine devono accollarsi anche le posizioni meno desiderabili come quella pro-petrolio e anti-rinnovabili. Lo scontro tra Google e ALEC è un incidente di percorso che non cambia di molto un sistema politico che definire controverso fin dalle fondamenta non è un azzardo.
Alfonso Maruccia