Fino a ieri era soltanto una voce, adesso è una certezza: l’antitrust USA sta indagando sull’accordo relativo a Google Books. Gli uffici federali hanno fatto pervenire a BigG e ad altre parti coinvolte nel caso delle richieste ufficiali di documenti e informazioni, racconta il New York Times . E adesso la strada verso la “nuova Alessandria digitale” si fa decisamente in salita, visto che all’accordo manca comunque ancora il sigillo della magistratura ordinaria.
Nell’ottobre scorso, quando Google e diversi grandi attori del mondo dell’editoria avevano firmato un accordo transattivo, il contenzioso intorno a Google Books sembrava potersi chiudere definitivamente. E invece il progetto di digitalizzazione massiva di testi di Mountain View, avversato fin dal 2005 con una Class Action della Authors Guild e dell’ Association of American Publishers , era ben lungi dal terminare.
Singoli, aziende e ONG hanno cominciato ad interpellare il Dipartimento di Giustizia, sostenendo che l’accordo rischiava di creare un monopolio de facto nel campo dei libri elettronici, garantendo a Google una posizione dominante del tutto incompatibile con la normativa antitrust.
Adesso, dopo settimane di sussurri, il Dipartimento si è mosso in modo ufficiale, inviando delle richieste formali (i cosiddetti civil investigative demands ) a diverse degli attori tra cui la stessa Google, le associazioni di rappresentanza di editori e autori nonché alcuni grandi gruppi. A rivelarlo al NYT è stato l’avvocato Michael J. Boni dello Studio Boni & Zack, che ha seguito le negoziazioni per conto del sindacato degli autori.
“Stanno richiedendo una grande quantità di informazioni – dice il legale – e questo segnala che sono fermamente intenzionati ad indagare sulle implicazioni antitrust della faccenda”. L’apertura dell’indagine, spiegano gli addetti ai lavori, potrebbe non tradursi in un’azione di opposizione all’accordo da parte del governo. Ma quasi sicuramente, per altro verso, comporterà dei ritardi nel processo di approvazione dello stesso.
Secondo uno dei manager delle aziende coinvolte, contattato in forma riservata dal Wall Street Journal , il DOJ starebbe richiedendo documenti riguardanti le politiche di prezzo, le strategie di posizionamento sul mercato dei testi digitali e tutti gli scambi informativi realizzati tra le parti durante le negoziazioni. “È evidente che le ricerche del Dipartimento sono focalizzate su Google” spiega la fonte “E si tratta di una richiesta documentale a largo raggio”.
Ma Google non resta a guardare. Mercoledì prossimo, racconta il Wall Street Journal , il capo dell’ufficio legale di BigG David Drummond volerà a Washington per difendere le ragioni dell’accordo in una riunione congiunta con decisori pubblici e detrattori. E più o meno in contemporanea, all’altro capo degli Stati Uniti, una squadra di ingegneri e manager Google terrà un meeting con giornalisti ed esperti di tecnologia “per illustrare le modalità di funzionamento del progetto e tutte le cose fatte per promuovere la concorrenza”, come ha dichiarato uno dei portavoce dell’azienda.
“Date le nostre dimensioni e l’impatto delle nostre azioni” ha dichiarato lunedì Eric Schmidt “trovo normale che siamo soggetti a controllo da parte delle autorità pubbliche. Me lo aspetterei da qualsiasi governo. Non voglio dire che siamo felici o tristi per questo, ma lo trovo normale”.
La decisione sull’ammissibilità dell’accordo è affidata al giudice Denny Chin della Corte Distrettuale Federale di Manhattan, che dovrebbe tenere un’udienza nel settembre prossimo. Ma con le indagini del governo andate più avanti di quanto non so pensasse, spiega al NYT l’avvocato specializzato in questioni antitrust Gary Reback, c’è il rischio che queste notizie pesino “come un macigno sulle decisioni del giudice incaricato del caso. È difficile pensare che un magistrato possa avallare l’accordo mentre ci sono delle inchieste federali in corso”.
Nel corso degli ultimi mesi, BigG si è trovata sotto lo sguardo delle autorità antitrust anche per i possibili conflitti di interesse collegati alla presenza del suo amministratore delegato nel board di Apple.
Giovanni Arata