La Corte d’Appello del Secondo Circuito degli Stati Uniti ha confermato che l’opera di digitalizzazione dei libri contenuti nelle biblioteche da parte di Google nell’ambito del progetto di divulgazione Google Books costituisce un utilizzo di materiali protetti dal copyright permesso dalla disciplina del fair use .
Ad accusare Google era Authors Guild che – in quanto associazione che rappresenta gli interessi di tutti gli autori – da ormai 9 anni porta avanti la sua battaglia per la presunta violazione del copyright dei libri digitalizzati senza il permesso degli aventi diritto . Tuttavia la sua azione e richiesta di compensazione pari ad un totale di 2 miliardi di dollari ha finora ricevuto solo no: prima è stata bloccata dal tribunale la proposta di accordo stragiudiziale raggiunto con Big G, poi anche la richiesta di status di class action.
Nel merito era stato prima il giudice distrettuale di New York Denny Chin a respingere le accuse di violazione di diritto d’autore sollevate nei confronti dell’opera di digitalizzazione dei libri delle biblioteche statunitensi da parte di Google Books, ritenuta compresa nell’ambito del fair use , dispositivo legislativo statunitense che salvaguarda l’uso legittimo delle opere tutelate dal diritto d’autore: Google secondo il giudice avrebbe fornito vitali benefici in ambito educativo e, in generale, pubblico, nonché la possibilità di accedere a numerosi nuovi dati “che aprono la strada a nuove possibili campi di ricerca”.
Contro tale decisione Authors Guild aveva tentato di ricorrere in appello, affermando che l’opera di digitalizzazione rientrasse invece nel concetto di uso trasformativo che crea un sostituto alternativo all’originale e che Google, pur fornendo servizio gratuito di ricerca ed accesso ad un’anteprima del volume digitalizzato senza neanche collegarlo ad advertising, si avvantaggiasse di tali contenuti rafforzando il suo dominio nel campo del search, in cui già detiene un ruolo dominante. Un’ipotesi che avrebbe dovuto scongiurare la protezione del fair use, ma che non ha attecchito presso il tribunale.
Tuttavia anche in secondo grado il tribunale a stelle e strisce ha rilevato che l’attività di Google ricada pienamente nei principi e nello scopo del fair use , definito come uno strumento per consolidare il vero intento del copyright , vale a dire “espandere la conoscenza a favore del pubblico”, che è il primo beneficiario di un sistema del diritto d’autore che tutela le creazioni e i creatori proprio allo scopo di incentivarli a creare, a vantaggio della società.
Public Knowledge e EFF hanno accolto la decisione come una grande vittoria per il fair use la nuova sentenza: “Lo scopo ultimo del copyright è quello di espandere la conoscenza pubblica ed il progetto Google Book fa esattamente questo – osserva PK – permettendo a ricercatori di risparmiare anni di ricerca per rintracciare libri rilevanti nelle biblioteche di tutto il mondo”.
Authors Guild si è detta invece molto delusa dalla sentenza: “L’America deve la sua cultura letteraria alla protezione del copyright, è una sfortuna che invece il tribunale non veda gli effetti dannosi che l’opera di Google rischia di generare per gli autori”, minacciati, secondo la loro associazione di categoria, di veder compromesse le fonti di reddito su cui fanno affidamento per vivere.