Avevano ottenuto una breve proroga, quattro giorni in più prima di presentare al giudice di New York la versione rivisitata dell’ormai noto patto da 125 milioni di dollari. Sono state puntuali Google, Authors Guild e Association of American Publisher (AAP): la scadenza prevista per lo scorso venerdì è stata rispettata, modifiche sostanziali all’accordo sono state effettuate. Principalmente intorno ai modelli di business di BigG, alle cosiddette opere orfane e alle tipologie di testi da digitalizzare in vista di quella che in molti hanno chiamato la nuova biblioteca alessandrina.
Stando ai termini del nuovo accordo – nato per venire incontro alle pressanti preoccupazioni del Dipartimento di Giustizia statunitense – Google eliminerà dai suoi archivi milioni di opere non in lingua inglese . Si tratta di testi fuori catalogo che verranno digitalizzati soltanto ad alcune condizioni: se registrati presso lo US Copyright Office o pubblicati nel Regno Unito, in Australia o in Canada. Solo nazioni, viene spiegato , che hanno una tradizione culturale simile, oltre ad un terreno comune relativo a giurisprudenza e industria del libro.
Ed è stata tagliata fuori la Nuova Zelanda, mancando un punto d’incontro su fondamentali aspetti legati al copyright delle opere da digitalizzare. Le nazioni di cui sopra, allora, avranno la possibilità di venir rappresentate da almeno un autore e un editore all’interno del Book Rights Registry , consesso indipendente che sarà responsabile innanzitutto dei pagamenti. Si tratta di una sede dove i detentori dei diritti potranno approdare per reclamare i loro legittimi compensi, conservati appositamente dal Book Rights Registry stesso.
Il Book Rights Registry si occuperà poi di fornire le licenze ad aziende terze che vorranno vendere i libri, devolvendo in beneficenza il denaro che non verrà richiesto dai detentori dei diritti lungo un periodo di 10 anni. “I cambiamenti che abbiamo incluso nel nuovo patto – ha spiegato in un post sul blog ufficiale il responsabile di Google Books, Dan Clancy – vanno ad incontrare molte delle rimostranze che abbiamo ricevuto, preservando allo stesso tempo il nucleo dell’accordo originario: fornire l’accesso a milioni di libri e mostrare ai detentori dei diritti la strada per controllare e vendere le proprie opere online”.
Stando alle modifiche apportate all’accordo, Google illustrerà nel dettaglio il funzionamento di uno specifico algoritmo che fisserà il prezzo dei libri digitalizzati. Verranno cioè simulate le dinamiche di prezzo all’interno di uno scenario di mercato effettivamente competitivo, mentre i futuri modelli di business di BigG verranno limitati alla sottoscrizione individuale, al print-on-demand e al download a pagamento . Sarà quindi lo stesso Book Rights Registry ad approvarli, prima di renderli noti ai singoli detentori dei diritti.
Nonostante questi cambiamenti, le voci critiche non hanno accennato a placarsi, convinte che il nuovo accordo continui a fornire a Google il potere di diffondere online testi i cui detentori dei diritti non siano ancora stati identificati. “Non vedo come queste modifiche risolvano alcunché per quanto concerne le opere orfane”, ha dichiarato Gary Reback, legale antitrust legato ad aziende come Amazon e Microsoft, ostili al patto da 125 milioni di dollari.
La Open Book Alliance è stata costituita lo scorso agosto a partire dalle posizioni critiche di Amazon, Microsoft e Yahoo! nei confronti della stretta di mano milionaria tra Mountain View e editori. “Nessuna delle modifiche apportate – ha spiegato Peter Brantley di OBA – sembra risolvere le preoccupazioni mostrate dal Dipartimento di Giustizia. Con queste operazioni di lifting, Google e i suoi soci cercano di deviare l’attenzione dal loro scopo principale: stabilire un monopolio sull’accesso e la distribuzione dei contenuti digitali”.
A difendere il nuovo accordo, invece, Richard Sarnoff, dirigente del colosso multimediale Bertelsmann AG: le parti avrebbero risolto numerose questioni relative alle opere orfane dal momento che Google dovrà agire come un rivenditore nei confronti di soggetti terzi. Quello che le stesse parti non avrebbero invece risolto è la questione relativa alla tutela della privacy dei lettori , come fatto notare da un commento di Electronic Frontier Foundation . L’unica modifica nominale sarebbe relativa al fatto che le informazioni non andranno condivise liberamente tra Google e il Book Rights Registry.
A questo punto la palla passerà al DoJ statunitense che si esprimerà sulle modifiche agli inizi del prossimo anno. Il giudice di New York Denny Chin confermerà poi nel corso di questa settimana una tabella di marcia per portare in aula tutte le obiezioni ad un caso che Google vorrebbe iniziare a chiudere intorno alla metà del prossimo febbraio. Per passare una primavera a sfogliare libri.
Mauro Vecchio