Google è offline, che succede a Google? Nulla che non si sia già visto ma abbastanza per rinverdire i fasti delle onnipresenti polemiche sulla (in)sicurezza del cloud computing , l’impossibilità di fornire valide garanzie di accessibilità remota anche per il più importante player di rete e le controindicazioni della tendenza a spostare online dati e suite dedicate alla produttività.
Giovedì scorso Google è andato giù per oltre un’ora, il disservizio ha riguardato milioni di netizen ai quattro angoli del globo ma la corporation tende a minimizzare l’accaduto: in totale sarebbe stato affetto il 14% degli utenti di tutti i servizi marcati BigG, il motore di ricerca, la suite Google Docs, Gmail, Calendar, e tutto il resto, in California come a New York, a Berlino come in Inghilterra.
Nella prima reazione ufficiale sul blog corporate, Google ammette l’accaduto e definisce il problema “imbarazzante”: “Un errore in uno dei nostri sistemi ha causato la redirezione di parte del nostro traffico web attraverso l’Asia, la qual cosa ha creato un ingolfamento di traffico” provocando i disservizi e le interruzioni di connettività di cui sopra, dice il dirigente Urs Hoelzle, scusandosi per l’accaduto e assicurando tutti che “lavoreremo ancora più duramente per assicurarci che simili problemi non accadano di nuovo”.
Con le scarse informazioni tecniche fornite da Google ad alimentare invece di placare le speculazioni, c’è chi come McAfee sostiene che il problema sarebbe stato causato dalle operazioni di routing connesse alla transizione forzata di Google verso lo standard IPv6, in cui un guasto hardware ha impedito ad alcuni ISP di riconoscere i nuovi indirizzi numerici portando all’ingorgo descritto da Hoelzle.
Quale che sia il reale motivo dell’irraggiungibilità dei server Google, l’ennesima vicenda di mancata affidabilità dei servizi “nella nuvola” del web evidenzia i pericoli concreti dell’approccio accentratore del cloud computing, dove le appliance per i compiti più svariati (calendaring, programmazione aziendale, documenti testuali e fogli di calcolo, email eccetera) sono fornite tutte da un unico provider di rete , senza considerare i “siti dell’indotto” costruiti a partire dalle API Google connesse ai suddetti servizi.
Nonostante il design base di Internet preveda che il network debba continuare a funzionare anche dopo un eventuale attacco nucleare, questa tendenza accentratrice insita nel paradigma del “software come servizio” appare ridurre la robustezza di base della Rete in una insicurezza costante . Con buona pace del supposto uptime annuale del 99,99% garantito dall’EULA di Google.
Alfonso Maruccia