La manovra di riavvicinamento tra Google e la Cina sta per giungere a completamento, con un’iniziativa che porterà online nel paese asiatico una versione del motore di ricerca strutturata ad hoc per rispondere alle richieste di Xi Jinping. È quanto anticipa oggi la testata The Intercept, citando documenti al momento top secret e un progetto noto internamente al gruppo californiano come Dragonfly. Nessuna indicazione temporale precisa per il lancio e nessun commento ufficiale da parte di Alphabet.
Ricerche e censura
Parlare di censura non è fuori luogo. Le informazioni trapelate descrivono una piattaforma che, una volta ricevute le query degli utenti, restituisce pagine dei risultati composte solo ed esclusivamente da link verso contenuti ritenuti in linea con quanto richiesto dal governo. Nessun riferimento ai movimenti di protesta che si battono in difesa dei diritti umani, dunque, così come ai fatti di piazza Tienanmen, al sesso o alla libertà di culto. Ad accompagnare le SERP un avviso che comunica l’avvenuta eliminazione di alcuni elementi in conformità con le normative vigenti nel paese.
Una mossa che, se configurata in questo modo, non mancherà di mettere Google al centro di un’accesa discussione: se da un lato il gruppo si è sempre battuto per tutelare la libertà d’espressione e d’informazione online, dall’altro così facendo asseconderebbe imposizioni universalmente riconosciute come in violazione dei diritti fondamentali. Un compromesso che l’azienda californiana sembra intenzionata ad accettare pur di tornare a operare in un paese dall’enorme potenziale dal punto di vista del business.
Il motore muoverà i suoi primi passi sotto forma di applicazione Android, forse già dai primi mesi del 2019, per poi debuttare anche in una versione desktop accessibile da qualsiasi browser. Pare che Google ci stia lavorando ormai da oltre un anno, con un coinvolgimento diretto del CEO Sundar Pichai e portando avanti l’iniziativa a stretto contatto con le autorità cinesi, le stesse che hanno alzato il Great Firewall impedendo ad oltre un miliardo di cittadini la consultazione degli articoli pubblicati da buona parte della stampa occidentale e la fruizione di social media come Facebook.
Déjà vu
La fonte dell’indiscrezione odierna afferma che dei quasi 90.000 dipendenti oggi al servizio del gruppo, solo poche centinaia siano a conoscenza del progetto. La questione è delicata: non è da escludere che Google tema un contraccolpo mediatico simile a quanto avvenuto di recente con l’annuncio della collaborazione che lega l’azienda californiana al Pentagono – Project Maven – per l’impiego dell’intelligenza artificiale in ambito militare. Una reazione tale da spingere i vertici a optare per l’interruzione della partnership, coerentemente con il claim “Don’t Be Evil” che fin qui ha accompagnato l’attività dell’impero costruito da Larry Page e Sergey Brin.
Va in ogni caso ricordato che già dal 2006 al 2010 il motore di ricerca ha operato in Cina con una versione del servizio modificata in modo da sottostare alle imposizioni del governo, salvo poi decidere per una definitiva interruzione anche in conseguenza alle feroci critiche sollevate negli Stati Uniti. Fu allora proprio Brin a parlare di “forze totalitariste” e della necessità di lavorare alla realizzazione di un “Internet più aperto”.