Google comunica che da oggi, dopo il secondo annuncio in 2 anni , la sua offerta IaaS (Infrastructure as a Service) ha raggiunto lo status di “disponibilità generale” (GA, generally available ) uscendo dalla beta: il cloud di Mountain View si chiama Compute Engine , e per tentare di tenere testa agli arrembanti concorrenti tra cui figurano Amazon e Microsoft punta tutto su prezzi concorrenziali e potenza pura.
“La piattaforma Google Cloud offre agli sviluppatori la flessibilità per creare applicazioni con servizi gestiti e autonomi che girano sulla infrastruttura Google” è il roboante proclama della nota con cui sono annunciate le novità. Che consistono in annunci relativi alla manutenzione e migrazione delle istanze virtualizzate, il supporto a un crescente numero di sistemi operativi e moduli per il kernel Linux montati, più opzioni per CPU, memoria e storage e, infine, una sforbiciata ai pezzi che non fa mai male.
Oltre a CentOS e Debian, ora Compute Engine supporta anche altre distribuzioni Linux come Red Hat, Suse ecc e non fa eccezione FreeBSD. In più, per quanto riguarda la manutenzione (uno dei punti su cui Google spinge, vantandosi della propria esperienza nei datacenter che tengono in piedi i suoi affari), nella regione 1 (Nordamerica) è attivo il servizio di “transparence maintenance” che dovrebbe permettere di ridurre a zero i periodi di fermo, grazie al meccanismo già consolidato per altri concorrenti di migrazione live delle istanze attive; a questo si aggiunge una nuova funzionalità watchdog per così dire, che riavvia automaticamente la macchina virtuale in caso di errore.
Per garantire margini alle performance (e pure per tenere testa alla concorrenza), Google annuncia poi di aver predisposto un upgrade alla potenza che ora può raggiungere i 16 core e 104 gigabyte di RAM per istanza ( sperimentale e disponibile solo su richiesta). La sezione storage è affidata al servizio Persistent Disk , il cui costo cala del 60 per cento sul traffico I/O generato e le cui prestazioni aumentano. Per non sbagliare, un taglio del 10 per cento è stato applicato a un bel pezzo del resto del listino, rendendo più appetibili le istanze sin qui preferite dai clienti: un passo necessario, visto che per una volta Google non è esattamente il first mover del settore, e deve inseguire concorrenti che sono decisamente più avanti in fatto di ampiezza dell’offerta e di pubblico pagante.