TradeComet non ci sta a finire infilzata dai super-prezzi di Google, e reclama vendetta davanti alla giustizia USA per quello che a suo dire (e a dire dei suoi legali) è un comportamento anticompetitivo degno di attenzione da parte della autorità antitrust statunitensi . Oggetto del contendere è il sito SourceTool.com , una volta fiorente operatore di servizi business-to-business e ora tagliato fuori dal search “verticale” di Mountain View.
All’inizio della sua avventura, SourceTool.com era un piccolo motore di ricerca per servizi e prodotti rigorosamente business, ben accolto da Google in virtù del fatto che esso partecipava proprio al virtuoso circuito di advertising contestuale che ha reso il colosso della ricerca online quello che è oggi.
Col tempo, il traffico verso il portale è aumentato arrivando a 650mila visitatori giornalieri, e a quel punto Google ha voltato la faccia chiedendo a TradeComet un esborso pecuniario superiore del 10.000% rispetto al prezzo iniziale, sostiene la società querelante.
A questo punto TradeComet si è rivolta alle autorità antitrust federali, chiedendo una revisione dei comportamenti che BigG metterebbe in atto nei confronti degli operatori di rete alla mercé dei suoi banner contestuali e del suo motore di ricerca.
Uno dei risvolti interessanti della faccenda è poi il fatto che la rappresentanza legale di TradeComet è curata dalla società Cadwalader, Wickersham & Taft , la stessa che ha assistito Microsoft nella sua lotta titanica contro l’antitrust USA e nel tentativo abortito della scalata alle quote azionarie di Yahoo.
Microsoft a parte, comunque, l’affondo legale di TradeComet appare tutto in salita, dicono gli esperti: “Abbiamo già sentito queste argomentazioni in passato e non hanno mai attecchito granché” presso l’antitrust, sostiene il professore di legge presso la Santa Clara University Eric Goldman.
Più che dalla legge, i veri problemi per Google potrebbero forse venire dal mercato vero e proprio . Le ultime stime mensili sul market share della ricerca sul web assegna una crescita di mezzo punto a Yahoo (21,%) e, cosa decisamente più insolita, una perdita di mezzo punto percentuale delle quote in mano a BigG (63,%).
Alfonso Maruccia