Due modalità differenti di trattare online i dati personali degli utenti e, in definitiva, due approcci opposti alla delicata questione della privacy in Rete. Si intitola opt-ins, opt-outs and everything in between un recente post apparso sul blog ufficiale di Google. Un breve intervento, nato esclusivamente per focalizzare l’attenzione su quella che la stessa BigG ha definito una distopia .
Alla base del filosofico ragionamento, una fondamentale dicotomia, tra i concetti internettiani di opt-in e opt-out. Per la Grande G, si può definire opt-in un proxy atto ad ottenere il previo, esplicito consenso da parte dell’utente, per la successiva fase di raccolta e sfruttamento dei suoi dati personali. Al contrario, per opt-out si intende un proxy mirato alla raccolta di informazioni senza alcun esplicito consenso .
Qui, la delicata querelle . C’è ad esempio chi si è immaginato un mondo-web in cui tutti i siti e servizi della Rete chiedano sempre il permesso ai propri utenti, con una visione etica alla base del loro operato. Fatto magari di un behavioral advertising autorizzato o di un sistema generalizzato di compensazione verso gli utenti, dato un sostanziale sfruttamento commerciale dei dati da parte di terze parti.
Google ha voluto offrire il suo personale contributo, per bocca penna digitale di due dei suoi consiglieri sulle policy in materia di privacy, Nicklas Lundblad e Betsy Masiello. Autori di un corposo articolo recentemente apparso sulle pagine di SCRIPTed , a Journal of Law, Technology & Society . Messaggio cardine: non bisognerebbe battersi troppo per la diffusione dell’opt-in nei campi di raccolta online dei dati personali.
Perché potrebbero scattare conseguenze non volute, addirittura dannose nei confronti della privacy di tutti gli utenti. L’intera Rete potrebbe trasformarsi in una sorta di immenso paesaggio costellato da walled garden , i cui abitanti – ovviamente i netizen come fruitori di servizi – potrebbero vivere tormentati dalla paura di esplorare, di acconsentire, di godere delle varie possibilità offerte dal web.
Che detto da un motore di ricerca gigantesco – mietitore di account – come Google suonerebbe anche leggermente conflittuale. Meccanismi generalizzati di opt-in imporrebbero a dire di BigG due particolari processi decisionali a carico degli utenti. Innanzitutto, quello legato alle procedure tecniche di scelta dell’opzione di cui sopra. Quindi, quello legato ad una sorta di meditazione: se valga la pena di acconsentire a certe tipologie di servizio .
Scelte che potrebbero dissuadere i meno avvezzi alle tecnologie informatiche, quegli utenti meno preparati sulle dinamiche online. Meglio invece optare per una sorta di mediazione tra gli stessi utenti e i vari fornitori di servizi, in un continuo processo di negoziazione tra le due parti. Calcare troppo l’accento su una visione manichea tra opt-in e opt-out potrebbe desensibilizzare i netizen , che si ritroverebbero ad accettare in maniera incondizionata ogni tipo di contratto di licenza.
Qui Google potrebbe trovare più di un consenso da studi e bizzarri fatti di cronaca, a testimonianza del fatto che la maggior parte degli utenti non si preoccupa affatto di leggere termini e condizioni d’uso. Ad esempio , i quasi 7500 clienti del game seller online Gamestation, che hanno abboccato ad un gustoso pesce d’aprile ideato dallo stesso rivenditore.
In pratica, tutti gli acquirenti del primo aprile scorso hanno acconsentito al trasferimento verso Gamestation di qualsivoglia diritto sulla propria anima . “Effettuando un ordine su questo sito il primo giorno del quarto mese dell’anno 2010 Anno Domini, lei ci garantisce un’opzione non trasferibile a reclamare, ora e per sempre, la sua anima immortale”. Non vi è stato un solo cliente che ha esitato a cliccare sul pulsante I agree , io accetto.
Ma l’articolo dei due consiglieri di Google ha parlato anche di uno scenario tra i peggiori possibili, frutto di una visione distopica sul discorso opt-in, opt-out. La balcanizzazione del web . Ovvero un insieme troppo severo di regole che potrebbe minacciare la mobilità di Internet, creando una staticità negli utenti, fissati sui propri siti di fiducia. Un disastro, in particolare per il fenomeno del passaparola scatenato dai social network.
Come Facebook, che ha recentemente annunciato un nuovo giro di privacy sulla base di modifiche fermamente contestate dai paladini della privacy. I dati personali degli iscritti al sito in blu verranno automaticamente indirizzati verso applicazioni terze pre-approvate . A meno che gli stessi utenti non vadano a disattivare la particolare opzione in maniera manuale. Queste nuove opzioni verranno installate di default su ogni profilo attivo sul social network.
Per Graham Cluley, senior technology consultant di Sophos, azienda specializzata in sicurezza informatica, molti utenti del sito in blu non sanno nemmeno bene come impostare le varie opzioni in maniera sicura. Secondo Cluley , non dovrebbero proprio ritrovarsi a disattivare un’impostazione del genere, ma nel caso ad attivarla, dopo aver fatto una scelta consapevole .
L’articolo dei due policy consultant di Google ha quindi dipinto foschi scenari, preoccupandosi in particolare della possibile nascita di gruppi estremisti della web-privacy . La ricerca avrebbe mostrato ad esempio che gruppi di persone con la stessa idea su tematiche dal sapore manicheo arrivino a tesi estreme molto più facilmente dei gruppi con diverse opinioni. Per BigG, da un certo approccio all’opt-in potrebbe derivare una gamma ridotta di soluzioni community-based .
Mauro Vecchio