Google e l'allegra brigata dei lobbisti

Google e l'allegra brigata dei lobbisti

La strategia di BigG assume tratti più convenzionali: ampliare le relazioni con il mondo politico è un volano per difendere i propri interessi. Una lezione appresa anche da Microsoft
La strategia di BigG assume tratti più convenzionali: ampliare le relazioni con il mondo politico è un volano per difendere i propri interessi. Una lezione appresa anche da Microsoft

Washington – IT e politica? Un binomio sempre più affiatato. Avere voce in capitolo, influenzare le alte sfere può rivelarsi determinante per aziende che giocano la loro partita in un mercato che muove capitali incommensurabili. Se vale per chi opera sui mercati tradizionali, vale ancora di più per chi dà forma ad un mercato ancora da regolare, da conquistare con spirito pionieristico. Nemmeno Google poteva esimersi dall’adottare una tattica tanto convenzionale, e, in qualche modo, estranea al suo mondo, spesso raffigurato come scanzonato e disinteressato. Al suo fianco milita ora un agguerrito team di lobbisti : sono almeno una dozzina, fra ex membri del Congresso, forti della loro esperienza e delle loro conoscenze, avvocati e comunicatori, pronti al dialogo con Washington.

È il Washington Post ad analizzare la strategia di Google, mettendo in relazione la sua mobilitazione con il passato di Microsoft. Nel corso degli anni Novanta era il solo Jack Krumholtz a rappresentare e difendere gli interessi del colosso di Redmond di fronte al Congresso. Poi, l’ affaire antitrust . Una brutta esperienza, alla quale sono seguiti cospicui investimenti in politica e la rincorsa a costituire un folto gruppo di pressione, nell’intento di prevenire ulteriori incidenti, imbarazzanti e dispendiosi.

Nonostante gli indiscutibili successi e l’ascesa all’empireo della competizione con giganti dalla posizione consolidata, Google ha debuttato tardi in politica . Nel 2005 un ufficio di Google ha fatto la sua comparsa a Washington, ma è solo in tempi più recenti che BigG ha tentato di rendere la sua presenza a Capitol Hill più incisiva.

Quella di Google è stata una mossa forzata : molti aspetti della sua attività sono tuttora da regolamentare, e una partecipazione alla vita del Congresso, altrimenti negata, consente di giocare un ruolo attivo e propositivo sullo scacchiere del mercato. I lobbisti possono infatti ottenere voce in capitolo illuminando inseperti membri del Congresso, avanzando proposte, prendendo per mano la macchina legislativa: un vantaggio non indifferente, che consente di orchestrare strategie a lungo termine. Per Google è ora possibile combattere ad armi pari con una concorrenza influente, esprimendo la propria opinione riguardo a tematiche di grande impatto economico e sociale come la neutralità della Rete, la competizione nel mercato americano delle radiofrequenze , la tutela dell’infanzia in Rete, la controversa questione della proprietà intellettuale .

La presenza al Congresso inoltre, risulta strategica anche nell’ambito delle battaglie più contingenti combattute in Rete. La più recente è scaturita dalla discussa acquisizione di DoubleClick , che ha scatenato l’ offensiva diretta di Microsoft, che ha accusato Google di voler monopolizzare il mercato della pubblicità online, e le denunce da parte di numerose associazioni per la difesa dei diritti digitali, secondo le quali Google attenterebbe alla privacy dei netizen . La schiera di lobbisti reclutati per l’occasione, fra cui un ex membro del Dipartimento di Giustizia, rappresentano un vero e proprio bastione difensivo: Google potrebbe uscire indenne dalla questione, grazie alla negoziazione condotta nelle alte sfere.

Google gioca anche in attacco, e la sua presenza in politica pare sia stata dirimente nel corso della controffensiva sferrata contro Microsoft e le funzionalità di ricerca del suo Windows Vista, che discriminerebbe prodotti alternativi, come Google Desktop Search. Microsoft ha parzialmente accolto le richieste di Google, grazie anche alla mediazione del Dipartimento di Giustizia.

Ma l’azione di lobbying operata da Google non consiste solo nel reclutare legali esperti e comunicatori persuasivi. BigG vanta anche una Political Action Committee ( PAC ), una commissione per la raccolta di finanziamenti volta a foraggiare le spese elettorali dei candidati. A dimostrazione della sua determinazione, Google, rivelava il San Francisco Chronicle , sembrava intenzionata ad incoraggiare i propri dipendenti a contribuire alla causa di NetPAC promettendo di convertire in beneficenza l’equivalente dei contributi offerti.

Contrastanti le opinioni degli utenti americani, che si spingono ad esaminare la definizione di lobby: corpo intermedio che fa da tramite tra la società civile e la sfera politica più attiva o subdolo difensore degli interessi dell’industria , responsabile di una certa ” corruzione ” della macchina politica? Google sembra rispondere con candore: il suo Public Policy Blog ha iniziato di recente a fare da interfaccia con i netizen . BigG spera possa fungere da canale di comunicazione con gli suoi utenti, per discutere ed interpretare le loro richieste, e sostenerle di fronte al Congresso.

Gaia Bottà

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Pubblicato il
22 giu 2007
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