Lo qualificavano come un omicida, come un pedofilo, come un simpatizzante del Ku Klux Klan, come un affarista corrotto e legato con la mafia: migliaia di pagine popolate da contenuti anonimi e diffamatori, migliaia di pagine indicizzate da Google e restituite fra i risultati di ricerca. Daniel Hegglin, uomo d’affari ed ex banchiere di Morgan Stanley, ha ottenuto la collaborazione di Mountain View: il colosso della Rete farà eccezione, in quanto al cospetto di un “caso eccezionale di abusi”, e si impegnerà a rimuovere i contenuti dalle proprie piattaforme e a deindicizzare i link alla pagine incriminate.
Hegglin si era rivolto alla giustizia del Regno Unito nel mese di luglio, all’indomani del celebre caso Mosley e della dirompente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha costretto i motori di ricerca a mettersi al servizio dei cittadini per stabilire quali porzioni del passato la Rete debba dimenticare. Chiedeva che il motore di ricerca si adoperasse per “adottare tutte le ragionevoli e proporzionate misure tecniche” per fare in modo che i contenuti diffamatori “non comparissero nelle anteprime dei risultati di ricerca”, e per “prevenire il trattamento dei dati personali del denunciante che siano non accurati e/o che gli infliggano o possano infliggergli danni concreti o emozionali”, così come previsto dal Data Protection Act in vigore nel Regno Unito.
Google aveva chiesto a Hegglin una lista completa e circostanziata dei contenuti da rimuovere, così da analizzarli nel quadro del sistema approntato per le rimozioni da operare nel contesto del diritto all’oblio; i legali di Hegglin, dopo aver richiesto in passato delle rimozioni circostanziate che non hanno sortito alcun effetto sulla visibilità dei contenuti che dal 2011 in poi si sono moltiplicati in Rete, si erano opposti , sottolineando come la reputazione del proprio cliente fosse danneggiata da una quantità sconfinata di contenuti non solo diffamatori, ma anche totalmente infondati, che Google ha contribuito a rendere reperibili.
Il processo si sarebbe dovuto celebrare presso la High Court di Londra, ma la parti hanno stretto un accordo per chiudere il contenzioso, i cui dettagli per ora rimangono riservati. Google, secondo i legali dell’uomo d’affari, “si impegnerà in maniera significativa per rimuovere il materiale frutto degli abusi dai propri siti e dai propri risultati di ricerca”. Mountain View, che continua a non ritenersi responsabile di dover analizzare e selezionare i contenuti postati in Rete dagli utenti , giustifica il proprio intervento con l’ eccezionalità della situazione , un “caso trolling fuori dall’ordinario per rilevanza e vastità”. Google, spiega un portavoce dell’azienda, “continuerà ad adottare le procedure che sono state approntate per la rimozione dei contenuti che violano le leggi che vigono nei paesi in cui opera”.
Gaia Bottà