È stato definito come un esperimento che fornirà una strada di lettura online più dinamica, un’esperienza differente di consultazione che permetterà a tutti gli utenti di seguire un determinato argomento d’attualità nel suo continuo divenire: tutto in una sola pagina web. I Google Labs hanno recentemente partorito un progetto chiamato Living Stories , unico ambiente online dove poter seguire vaste storie di cronaca come la guerra in Afghanistan. BigG ha potuto contare su almeno due collaborazioni prestigiose direttamente dal mondo della grande editoria: il Washington Post e il New York Times .
“Un tipico articolo di un quotidiano inizia con le notizie più importanti e interessanti – si legge in un post sul blog ufficiale di Google – prima di arricchirsi con informazioni e dettagli addizionali, d’importanza via via decrescente”. Un problema, secondo BigG, nel momento in cui ogni nuovo articolo viene presentato al lettore anche come un riepilogo degli eventi salienti, prescindendo da quanto sia effettivamente informato sull’argomento. Living Stories proverebbe così un approccio diverso nell’ambito dell’ online publishing , raccogliendo tutti gli aggiornamenti in una singola pagina , sotto una singola URL.
Un modo alternativo di giocare con formati diversi di presentazione, dunque, per provare a lanciare uno strumento che – negli auspici degli stessi autori del post – sarà a disposizione di qualunque editore interessato. Per capire meglio, Google ha presentato su Living Stories la copertura effettuata dal New York Times sulla guerra in Afghanistan, raccogliendo in una singola pagina dinamica una serie di link ad articoli, editoriali, fotografie, filmati video e grafici di varia natura.
In Living Stories gli utenti potranno scegliere come visualizzare i vari articoli sulla pagina, ad esempio in base agli eventi più importanti o a quelli più o meno recenti. In poche parole, si potrà rivivere un intero evento – tra gli altri sperimentati l’allarme globale per l’influenza A – attraverso una semplice attività di scrolling e selezione dei vari collegamenti. Il progetto dei Google Labs è attualmente limitato alla lingua inglese, non ancora pronto all’implementazione su dispositivi mobile.
Le pedine si stanno muovendo rapidamente sulla scacchiera, posizionandosi o sui riquadri apocalittici del fronte anti-aggregatori o su quelli che vedono ancora motori di ricerca come quello di Google come una tutela degli sviluppi futuri dei contenuti online. Mentre grandi editori come Time e News Corp hanno recentemente trovato un accordo per trovare standard comuni in vista di un’ edicola digitale , c’è chi sembra ammirare il lavoro dei tecnici di Mountain View.
Come Jim Follo, chief financial officer di The New York Times Company , che non pare disdegnare affatto esperimenti come quello di Living Stories . “Abbiamo un rapporto molto significativo con Google – ha spiegato Follo nel corso di una recente conferenza – una relazione chiaramente di successo. Al contrario di certi rapporti di alcuni dei nostri competitor”. Tra questi, Rupert Murdoch, ovvero il magnate dei media che più di altri ha accusato motori di ricerca e aggregatori di news, colpevoli di aver danneggiato oltre misura l’economia legata all’industria dei contenuti.
Murdoch è tornato con decisione sulla spinosa questione, pubblicando un editoriale sul Wall Street Journal intitolato Giornalismo e libertà . Per il tycoon di origini australiane il futuro dei giornali non è assolutamente in discussione, dal momento che sarebbe rimasta in piedi la fiducia di milioni di lettori. Le attuali tecnologie, da questo punto di vista, metterebbero gli editori nella fondamentale condizione di raggiungere ancora più utenti, un’arma necessaria per evitare un collasso da scarsa lungimiranza.
Per Murdoch, molte più persone utilizzano ereader e dispositivi mobile per leggere articoli come quelli del WSJ e questo dovrebbe spingere gli editori a fornire contenuti ad alta qualità, ovviamente a pagamento. “Il vecchio modello di business basato principalmente sulla pubblicità è morto” ha sostenuto Murdoch, spiegando che la crescita dell’ online advertising riempirebbe semplicemente il buco creatosi in quella cartacea. A questo proposito, Janet Robinson del NYT ha illustrato i risultati provenienti dal quarto trimestre del quotidiano statunitense: un aumento del 10 per cento per la raccolta pubblicitaria online a fronte di una caduta del 25 per cento per quella su carta stampata.
Il capo di News Corp ormai lo ripete da tempo: mentre coloro che creano contenuti originali sarebbero obbligati a sobbarcarsi tutti gli oneri economici, gli aggregatori otterrebbero tutti i benefici in maniera fraudolenta. “Il principio è chiaro – ha scritto Murdoch – per parafrasare un famoso economista, ci assicureremo di ottenere un compenso modesto, ma giusto per il valore di ciò che produciamo”. Parole simili sono uscite dalle labbra di Carlo De Benedetti, a guida del Gruppo editoriale L’Espresso , che ha accusato Google a pochi giorni di distanza dalla proposta del First Click Free .
Secondo De Benedetti, sarebbe un grosso errore pensare che Murdoch abbia ottenuto una vittoria contro un’azienda che avrebbe imposto una sorta di tangente preventiva con i cinque click gratuiti. “Costoro pensano che hanno il diritto di impadronirsi dei nostri contenuti e di usarli senza contribuire di un centesimo ai costi. Questo si chiama furto – ha sentenziato De Benedetti – Noi faremo in modo di ottenere un prezzo ragionevole, ma equo per il valore che offriamo”. Murdoch e De Benedetti sembrano insomma essersi praticamente scambiati i pensieri sulle attività del search engine di Mountain View.
Ad introdurre un nuovo focolaio di discussione il ministro per la Cultura francese Christine Albanel, che ha ottenuto l’incarico di allenare l’industria editoriale transalpina per la sfida delicata con l’economia digitale. Tra le tecniche che Albanel vorrebbe introdurre nell’allenamento speciale, la misura dei tre colpi – già nucleo della dottrina Sarkozy nella guerra al file sharing illegale – da rinforzare grazie alla collaborazione degli editori. “Il nostro governo – si legge in una lettera diramata dalle autorità – non può accettare il fatto di vedere un’altra industria culturale minacciata dal saccheggio della Rete”.
Mauro Vecchio