Roma – Sono parole pesanti quelle di RSF – Reporters sans frontières che ha attaccato nelle scorse ore due dei più frequentati siti internet americani, Yahoo! e Google . L’accusa di RSF è particolarmente pesante: entrambi danno una mano alla censura cinese .
L’associazione internazionale ha parlato esplicitamente di “una guerra commerciale che minaccia la libertà di espressione” riferendosi allo scontro di mercato tra i due big per guadagnare posizione sui mercati dei vari paesi, compresa appunto la Cina.
Quelle di Yahoo! e di Google sarebbero pratiche “irresponsabili”, secondo RSF, perché direttamente o indirettamente darebbero una mano al regime cinese nell’espletare le proprie attività di censura .
“Yahoo! – affermano quelli di RSF – ha censurato per anni la propria versione in cinese del motore di ricerca e ora il rivale Google, che ha acquisito di recente una partecipazione nel motore cinese Baidu che filtra i risultati delle ricerche, sembra pronto a seguire la stessa strada. Nei loro sforzi per conquistare il mercato cinese, le due società stanno accettando compromessi che minacciano direttamente la libertà di espressione”.
Le accuse sono sostenute, sostiene RSF, dall’evidenza della pratica quotidiana. La versione cinese di Yahoo , infatti, proprio come “Yisou”, un nuovo motore dedicato al mercato cinese dal colosso americano, secondo RSF “censurano i risultati di ricerca secondo i voleri del Governo. Alcune ricerche per parole chiave, come Tibet Libero , non danno alcun risultato”. In altri casi, cercando Falun Gong ad esempio, il risultato riporta soltanto documenti che sostengono la posizione del regime, contraria al movimento spirituale che porta quel nome.
Ma anche Google, che in passato è stato persino bloccato dai filtri di regime, ora praticherebbe la censura. “Se con Baidu si ricerca Huang Qi , cyberdissidente incarcerato per aver criticato online il governo, il risultato è: Questo documento non contiene dati . Anche se ci sono centinaia di articoli in cinese sulla vicenda”. E se si ricerca Indipendenza di Taiwan , afferma RSF, si trovano soltanto siti critici con il Governo dell’isola (che la Cina considera una propria provincia). “Invece con la versione cinese di Google – afferma RSF – che non è censurata, vengono fuori i siti pro-Taiwan”.
Secondo RSF la censura sui motori di ricerca rappresenta un problema chiave per la libertà di espressione , anche in Cina dove stime ufficiali affermano che i motori sono utilizzati per la ricerca di informazioni dall’80 per cento degli utenti.
L’associazione internazionale non manca peraltro di ricordare vari casi che coinvolgono le grandi società dell’IT americano che hanno adattato le proprie tecnologie per venire incontro alle necessità della censura cinese se non persino realizzato strumenti per consentire al regime di realizzare filtri e censure.
Va detto che spesso e volentieri l’unico mezzo per “fare affari” in Cina sembra essere quello di venire incontro alle richieste governative. Anche per questo RSF ha concluso il proprio documento appellandosi alle autorità americane affinché sia varato un codice di condotta per le imprese statunitensi che operano in mercati come quello cinese, sottoposti al vaglio di un’oligarchia che fonda il proprio potere su manipolazione, monitoraggio e censura.