Si torna a parlare di oblio e più nel dettaglio della necessità di trovare il giusto equilibrio tra il diritto di ognuno a chiedere la deindicizzazione dei contenuti che riguardano la propria persona dai motori di ricerca (nei casi previsti) e quello della collettività ad accedere alle informazioni. I legali di Google compaiono oggi di fronte alla Corte di Giustizia Europea per discutere un punto chiave della questione.
EU: il diritto all’oblio sia globale
Sul tavolo un nodo ancora da sciogliere, la possibilità di imporre a bigG che la scomparsa di un link dalle SERP sia estesa dalle versioni continentali della piattaforma a livello globale. Un esempio concreto: un cittadino europeo individua un articolo che lo riguarda e, ritenendolo lesivo per se stesso o per la sua dignità, chiede a Google attraverso una procedura strutturata ad hoc di rimuoverne il collegamento dalle pagine dei risultati. Se in linea con i paletti previsti, l’azienda accoglie la richiesta e procede all’eliminazione del record dal proprio database, rendendolo di fatto non più rintracciabile mediante una query condotta sulle versioni europee del motore, dunque “google.it”, “google.fr”, “google.de” e così via. La stessa chiave digitata su “google.com” potrebbe invece mostrare il risultato oggetto della richiesta di cancellazione.
Un comportamento non visto di buon occhio da parecchie delle autorità europee impegnate nella tutela della privacy, che ha portato nel 2015 la CNIL (Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés) francese a sanzionare l’azienda californiana per 100.000 euro. L’anno successivo il ricorso in appello di Google, che ha spostato la contesa sui banchi della Corte di Giustizia Europea.
La posizione di Google
La posizione assunta da Mountain View nei confronti di una simile richiesta è la stessa che il gruppo va ripetendo fin dall’inizio, ben sintetizzata da una dichiarazione di Kent Walker (Senior Vice President for Global Affairs and Chief Legal Officer di Google) raccolta nel 2015. Un’estensione a livello globale della deindicizzazione potrebbe rappresentare una minaccia per la libertà dei cittadini, poiché andrebbe a costituire uno strumento nelle mani dei paesi meno democratici.
Noi, così come un gran numero di media, organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani e realtà come Wikimedia, crediamo che questo sia in contrasto con i principi base delle leggi internazionali: nessun paese dovrebbe poter imporre le proprie regole a un altro, specialmente quando si tratta di contenuti legali. L’adozione di una simile norma potrebbe incoraggiare altri stati, compresi i regimi meno democratici, a imporre i propri valori ai cittadini del resto del mondo.
SERP e territorialità
Si è discusso in passato anche dell’ipotesi di poter sfruttare il criterio della territorialità per decidere a quali utenti consentire la visualizzazione di un link, così da impedire ad esempio a un cittadino europeo di passare da “google.com” per accedere a risultati deindicizzati sulle versioni continentali del motore di ricerca. La proposta non ha però trovato il consenso della CNIL né di altre autorità. Non è dato a sapere quali siano le tempistiche necessarie per conoscere la decisione di Lussemburgo, presa si presume anche alla luce della recente entrata in vigore del GDPR, ma stando a quanto riferito da un portavoce dell’istituzione al sito TechCrunch potrebbero volerci fino a sei mesi. È dunque possibile che l’ultima parola venga apposta dalla Corte non prima del 2019.
Stando a quanto si legge nel rapporto sulla trasparenza pubblicato da bigG le richieste di rimozione finora ricevute sono complessivamente 722.703, per un totale pari a 2.745.717 link. Il 44% di questi è stato rimosso dalle SERP, in seguito a una valutazione che Google conduce caso per caso. La percentuale si riduce al 35,8% prendendo in considerazione esclusivamente l’Italia.