Google Home Mini, la versione economica di assistente integrato con voice control di Mountain View (il cui prezzo parte da 50 dollari) ha ricevuto un aggiornamento lo scorso 7 Ottobre per correggere un problema software che nei primi dispositivi della serie lasciava i microfoni in ascolto degli utenti anche quando esso non era utilizzato .
Il dispositivo era stato accusato di raccogliere dati sugli utenti, registrandoli 24 ore su 24: pur essendo programmato per attivare i microfoni per la registrazione soltanto dopo aver sentito il comando “Ok Google” o dopo l’interazione dell’utente con l’apposito pulsante, secondo quanto riferisce Artem Russakovskii di Android Police in un dettagliato commento il sistema di registrazione risultava sempre attivo, finendo per interpretare come comandi anche rumori e addirittura i suoni di canzoni o programmi ascoltati.
Mountain View è stata costretta a riconoscere il problema, ma ha minimizzato: si tratterebbe di una “questione che ha riguardato solo un piccolo numero di dispositivi” (quelli degli utenti che lo hanno ricevuto in anteprima all’evento Made by Google) e che può comportare “il malfunzionamento del meccanismo di controllo touch dei dispositivi”.
Negli Stati Uniti, dove il fenomeno della domotica e in generale dell’ Internet of things è ormai una realtà, la questione ha anche un’aspetto legislativo, dal momento che manca sull’argomento una normativa ad hoc: quali dati possono essere registrati da un dispositivo così presente nella quotidianità e nell’intimità degli utenti e quali sono le modalità, delicate sia per la privacy che per la sicurezza, di gestione degli stessi rimane dunque un argomento ancora inesplorato dalla legge.
Anche alla luce dei problemi ora avuti e confermati da Google, dunque, da più parti è stato richiesto un intervento legislativo .
Claudio Tamburrino