UPDATE: Google è intervenuta per precisrae quanto segue: “Abbiamo sempre puntato ad essere il più trasparenti possibile sulle decisioni in tema di diritto all’oblio. I dati che il Guardian ha trovato nel codice sorgente del nostro Transparency Report naturalmente vengono da Google, ma erano parte di un test per capire come classificare al meglio le richieste ricevute. Abbiamo interrotto il test a Marzo scorso perché i dati non erano abbastanza affidabili per la pubblicazione. Stiamo comunque lavorando per migliorare le modalità di reporting in tema di trasparenza”.
Roma – Google ha fatto involontariamente nuova luce sui numeri legati alle richieste di rimozione di contenuti dai risultati della sua ricerca ricevute sulla base dei principi europei del diritto all’oblio: nel codice del precedente rapporto di trasparenza erano stati inseriti dati più recenti, che ora sono stati divulgati .
Il diritto all’oblio , quella delicata applicazione del diritto alla privacy che riconosce la possibilità di veder “dimenticati” alcuni link che secondo il diretto interessato dovrebbero rimanere sepolti nel passato, si pone in un pericoloso equilibrio tra diritto alla cronaca e quello alla privacy e anche per questo il dibattito sull’opportunità della sua applicazione è ancora aperto.
Nonostante non tutte le opinioni siano a supporto del diritto all’oblio, con in particolare Google a sostenere non sia necessario, forte è la pressione per vederlo esteso anche fuori dai confini europei. Per farlo – tuttavia – occorrono certamente più dati e più esperienza nella sua applicazione.
Così, l’errore di Google che dà accesso a nuovi dati non può che essere in questo senso utile: più che ad un errore, in realtà, la divulgazione è da attribuire agli esperti del Guardian , che hanno scandagliato il codice sorgente del rapporto di trasparenza sul diritto all’oblio di Google, individuando maggiori dati rispetto a quelli originariamente pubblicati.
Finora si sapeva , per esempio, che nei primi sei mesi di applicazione dei nuovi principi fossero arrivate alle autorità garanti della privacy circa 2mila richieste di riesame delle decisioni prese da Google , un numero assolutamente basso rispetto alle circa 272mila richieste di rimozione ricevute da Google solo nell’ultimo mese: quindi una conferma della sostanziale concordanza circa le scelte del motore di ricerca.
I nuovi dati (involontariamente) divulgati da Mountain View offrono un altro spunto: Google ha respinto la richiesta nel 37 per cento dei casi, una percentuale che sale al 71 per cento quando sono coinvolte figure pubbliche, al 68 se riguardano politici ed al 64 se sono legate a crimini gravi . Per queste categorie, insieme a quella dei minori, le richieste accolte complessive di fermano a 1.892, meno dell’un per cento del totale.
Nel dettaglio solo in meno del 5 per cento delle richieste di rimozione di determinati link riguarda criminali, politici o profilo pubblici di spicco . Al contrario nel 95 per cento delle richieste si tratta di persone comuni interessate a veder rimosse notizie legate ad episodi del proprio passato: una donna citata in numerosi articoli legati alla morte del marito e con tanto di indirizzo, un individuo che ha contratto l’HIV più di un decennio fa.
Claudio Tamburrino