Google è ancora immersa fino al collo nel dibattito che ha seguito la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che la costringe a interpretare il ruolo di arbitro dell’oblio, in bilico fra la tutela della libera circolazione dell’informazione e il diritto alla privacy: mentre le regole che i motori di ricerca dovrebbero adottare sono lungi dall’essere affinate , Mountain View offre ai cittadini della Rete piena chiarezza, come promesso .
È così che Google ha aggiornato il proprio periodico report dedicato alla trasparenza con le richieste di rimozione sollecitate sulla base del diritto all’oblio, così da risultare irreprensibile nei confronti della società civile nel corso di un processo di implementazione di una disciplina affatto priva di criticità. Mountain View mostra dunque come su base europea abbia ricevuto 144.954 richieste di cancellazione , che hanno spinto Google ad esaminare un totale di 497.695 URL , che sono risultati in 170.706 rimozioni dai risultati di ricerca, pari al 41,8 per cento degli URL segnalati.
Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Italia sono stati i paesi da cui è provenuta la più grande richiesta di rimozioni: i cittadini francesi hanno inoltrato 28.912 richieste per 89.168 URL, il 51,5 per cento dei quali rimossi; dalla Germania sono provenute 24.979 richieste per 88.883 URL, resi irreperibili attraverso il motore di ricerca nel 53 per cento dei casi; per il Regno Unito le richieste sono state 18.304, relative a 63.606 URL, rimossi nella percentuale del 35,4 per cento, in proporzione ancora più bassa (34,1 per cento) sono le rimozioni originate da richieste per la Spagna.
Per quanto riguarda l’ Italia , Google spiega di aver ricevuto 11.380 richieste per 39.537 URL . L’Italia, per ora, è il paese a cui Google ha concesso la più bassa percentuale di cancellazioni : non sono più reperibili, attraverso il motore di ricerca, solo il 24,2 per cento dei link segnalati, pari a 7.875 URL. Del resto, oltre alle richieste che Google ha accolto in quanto ha ritenuto si riferissero a un passato che è lecito dimenticare, le segnalazioni originate da cittadini che avessero a che fare con lo Stivale comprendevano il desiderio di voler cancellare link ad articoli recenti che documentavano un arresto per reati finanziari, o link a documenti ufficiali pubblicati da enti statali in cui dava conto di atti di frode.
La Grande G segnala inoltre i siti per cui più frequentemente è intervenuta: in prima linea figura Facebook , con 3332 link rimossi , accompagnata da alcuni servizi che aggregano informazioni riguardo agli individui, ma non mancano le occasioni in cui Google ha ritenuto opportuno interrompere la connessione fra il proprio motore di ricerca e i propri servizi, come nel caso di YouTube (2.392 rimozioni) e groups.google.com (1.945 URL rimossi). È vero però che Google ha smesso di indirizzare certe ricerche dei propri utenti anche verso siti dedicati esplicitamente all’ informazione o alla diffusione di conoscenza e cultura, come Wikipedia .
E se Google è in attesa che le autorità contribuiscano a tarare opportunamente la bilancia dell’oblio, fra diritto all’informazione e diritto alla privacy, sono numerosi gli individui che, fuori dall’Europa, si aggrappano alla sentenza della Corte di Giustizia per ottenere che la Rete li dimentichi con l’aiuto della Grande G: dopo la rumorosa minaccia del legale delle VIP coinvolte dallo scandalo Fappening , dopo le pretese su scala globale del Canada, è un tribunale giapponese ad aver imposto a Mountain View di smettere di indirizzare a certi link gli utenti che tentassero di informarsi sul passato di un cittadino. “Abbiamo combattuto la stessa battaglia dell’Europa e abbiamo ottenuto una vittoria simile” ha annunciato il legale dell’accusa. In Giappone vige una legge sulla diffamazione che ha già costretto Mountain View a intervenire sul proprio motore di ricerca, una legge che Google ha scelto di abbracciare permettendo ai cittadini di sottoporre richieste di rimozione di URL ritenuti lesivi di reputazione e privacy.
Gaia Bottà