Digitando “www.punto-informatico.it” ci si ritrova su queste pagine. Merito dell’URL, un sistema adottato agli albori della grande Rete per evitare che al fine di raggiungere una risorsa del World Wide Web fosse necessario digitare stringhe complesse da ricordare e riprodurre. Tutto ha funzionato più o meno a dovere fino ad oggi, ma è tempo di mettere il paradigma in discussione, parola di Google.
La fine degli URL…
Se memorizzare e scrivere nella barra dell’indirizzo il nome di un dominio di secondo livello è cosa alquanto semplice, altrettanto non si può dire degli Uniform Resource Locator che conducono a pagine specifiche. Per leggere questo articolo, ad esempio, bisogna aggiungere “google-internet-senza-url”. La lunghezza è il primo ostacolo alla gestione degli URL sui dispositivi mobile, dove per ovvie ragioni lo spazio risulta ridotto. Un problema parzialmente risolto con la nascita dei tanti shortener che abbreviano la stringa a pochi caratteri: Bitly, TinyURL, lo stesso goo.gl proposto dal gruppo di Mountain View.
Strumenti tanto utili al loro scopo quanto all’attuazione di pratiche malevole. Trattandosi essenzialmente di un redirect, questi servizi possono essere sfruttati da un malintenzionato per condurre il malcapitato utente su un sito o una pagina contenente codice corrotto, malware o una pratica di phishing finalizzata alla sottrazione di dati personali. Insomma, non costituiscono la soluzione migliore, nemmeno per bigG. Dell’argomento ha parlato Adrienne Porter Felt, Engineering Manager del team al lavoro su Chrome, con un’intervista rilasciata sulle pagine di Wired.
Le persone faticano davvero a comprendere gli URL. Sono difficili da leggere, è complesso capire quale parte deve trasmettere fiducia e in generale non penso che siano un buon modo per veicolare l’identità di un sito.
Si rende dunque necessaria una piccola-grande rivoluzione, si avverte l’esigenza di un nuovo sistema che sia in grado di incrementare il livello di sicurezza nell’interazione con le risorse online risultando al tempo stesso accessibile a chiunque.
… è ancora lontana
Un cambiamento che non può però essere attuato nell’immediato. Per dirla tutta, nemmeno Google ha ancora idea di come innescarlo. Ciò che ora sta facendo bigG è stimolare una discussione sul tema, alla ricerca di quella visione necessaria al fine di immaginare un metodo migliore rispetto agli URL per l’organizzazione degli indirizzi.
Vogliamo poter arrivare a un giorno in cui l’identità Web sarà comprensibile da chiunque: tutti sapranno con chi stanno interagendo trovandosi su un sito e si potrà così costruire un rapporto di fiducia. Questo comporterà grandi cambiamenti nelle modalità con le quali Chrome mostrerà gli URL. Vogliamo mettere in discussione il modo di visualizzare gli indirizzi per capire quale sia la maniera migliore di farlo.
Chrome non è citato a caso, proprio nei giorni del suo decimo compleanno e dell’esordio di una nuova versione che introduce parecchie novità. Al browser sarà affidato ancora una volta il compito di farsi promotore di un cambiamento, come già avvenuto ad esempio con la diffusione del protocollo HTTPS. Ci ha provato negli anni scorsi con una funzionalità chiamata origin chip che metteva in evidenza solo ed esclusivamente il nome del dominio di secondo livello nella Omnibox, costringendo l’utente a un click per mostrare l’indirizzo completo. Un’iniziativa ben accolta da alcuni, meno da altri, soggetta a feedback contrastanti, tanto da convincere il team alla sua cancellazione.
Google non è l’unica realtà a interrogarsi su come l’universo online possa scrollarsi di dosso la pesante eredità degli URL. Lo fa da tempo anche il mondo accademico, senza però essere giunto a una soluzione capace di mettere tutti d’accordo. Indipendentemente dalla natura dell’iniziativa che verrà attuata, è destinata ad essere presa di mira e messa in discussione, come sottolinea Porter Felt nel suo intervento.
Il cambiamento sarà controverso, qualunque sia sua forma. È comunque importante fare qualcosa, perché oggi nessuno è soddisfatto degli URL.