Dopo le indiscrezioni dei giorni passati , il sistema operativo per la Internet delle Cose (IoT) di Google è stato finalmente presentato in via ufficiale in occasione della conferenza I/O in quel di San Francisco. Brillo è il nome ufficiale del nuovo OS, anche se bisognerebbe più correttamente parlare di piattaforma per la IoT più che di semplice sistema operativo.
Prevedibilmente basato sullo stesso codice di Android, Brillo vorrebbe offrire connettività a dispositivi, apparati e servizi che al momento non ne hanno (bisogno?): si parla di domotica e sensori domestici, certo, ma Google va oltre parlando di fattorie hi-tech, reti di trasporto pubblico e altro ancora.
Per creare Brillo, oltre ad Android Google ha preso in prestito codice proveniente anche da Nest e Chrome: la familiarità per gli sviluppatori di app dedicate all’OS mobile è però la stessa, e Brillo viene descritto come un sistema operativo pienamente funzionante “end-to-end” dotato di requisiti hardware sensibilmente inferiori rispetto ad Android.
Accanto a Brillo c’è poi Weave , un layer aggiuntivo al nuovo OS deputato a gestire le comunicazioni “standardizzate” tra i diversi apparati IoT. Weave può essere utilizzato assieme a Brillo ma anche con altri stack software, ha spiegato Google. Oltre Brillo e Weave, infine, Android fungerà da interfaccia utente per la gestione centralizzata degli apparati IoT presenti nelle vicinanze.
Brillo e le tecnologie connesse rappresentano un punto di partenza piuttosto che un punto di arrivo, ha sostenuto Mountain View, e a conti fatti Brillo arriva in settore come quello della Internet delle Cose che già trabocca di sistemi operativi , piattaforme e infrastrutture distribuite pensate per la connettività dei frigoriferi e di qualsiasi altra cosa.
Un’altra novità interessante per la connettività diffusa, potenzialmente da declinare in ottica IoT e presentata da Google durante la conferenza I/O, è Project Jaquard , tecnologia sviluppata dal gruppo Advanced Technology and Projects (ATAP) di Mountain View e pensata per integrare interfacce touch all’interno dei tessuti da indossare e non solo.
Alfonso Maruccia