Che impatto ha la gestione dei dati personali sulle attività di una azienda e sul rapporto con i clienti? Due studi paralleli commissionati da Google, condotti l’uno da IPSOS e l’altro da Boston Consulting Group, hanno analizzato questa tematica per tentare di sviscerare quelle dinamiche che si celano dietro normative, burocrazie e non sempre ottimali percezioni di ciò che la privacy rappresenta. Due studi, quindi, molto utili per tracciare la messa a terra delle iniziative che si portano avanti sia a livello istituzionale che aziendale per la tutela dei dati personali.
Google e IPSOS: privacy e utenti
Il report IPSOS evidenzia in particolare le preoccupazioni lato utente:
- Oltre due terzi (70%) degli utenti di internet tra i 16 e i 74 anni a livello globale sono preoccupati di come vengono utilizzate le informazioni raccolte su di loro quando sono online;
- Solo il 3% degli intervistati crede di avere il controllo completo della divulgazione e della rimozione dei propri dati online;
- Più di due terzi (68%) degli intervistati si sono dichiarati scettici riguardo al modo in cui le aziende usano i loro dati nel marketing;
- Le persone, però, si rivelano maggiormente soddisfatte degli annunci che considerano di valore: una ricerca globale di Ipsos mostra che nove utenti di internet su dieci (91%) tra i 16 e i 74 anni sono più propensi ad acquistare brand che forniscono offerte e suggerimenti per loro pertinenti;
- Gli intervistati che si sentivano vicini a un brand erano più propensi a dare il permesso al brand di mostrare loro offerte di valore basate su informazioni più dettagliate;
- Gli intervistati si mostrano tre volte più propensi a rispondere positivamente alla pubblicità quando percepiscono una maggiore sensazione di controllo su come vengono utilizzati i loro dati;
- Più qualcuno è vicino a fare un acquisto, più è probabile che percepisca gli annunci come pertinenti e che provi emozioni positive dopo averli visti.
L’analisi IPSOS mette in rilievo anche una dinamica del tutto peculiare, definita come “say-do gap“: ci sarebbe un grande differenziale tra ciò che gli utenti dicono di temere e ciò che invece fanno in realtà. Per certi versi è come se fosse generalizzata la maturata consapevolezza circa l’importanza di comportamenti virtuosi, ma nella pratica non è molto l’impegno per elevare particolari resistenze nel fornire dati personali. Credenti non praticanti, insomma: una dinamica tutta da comprendere, perché è su questi binari che dovrà correre l’educazione alla tutela dei dati personali negli anni a venire.
IPSOS ha quindi raccolto tre indicazioni utili per i professionisti del marketing impegnati su questo pericoloso crinale, dove è importante una raccolta dati utile alle attività delle aziende, ma dove è pericoloso il vuoto rappresentato dalla perdita della fiducia:
- Dare un senso
le persone condivideranno volontariamente le proprie informazioni con le aziende che dimostrano una chiara proposta di valore. I professionisti del marketing possono rispondere comunicando chiaramente il valore di uno scambio al cliente e anticipando i suoi bisogni con messaggi pertinenti e tempestivi; - Rendere memorabile
l’autorizzazione consapevole è preziosa. Le persone hanno una comprensione limitata di come funziona la privacy online, e questo influenza il modo in cui percepiscono la pubblicità. Quando però si ricordano delle scelte che hanno fatto in merito alla condivisione dei dati, hanno risposte più positive; - Rendere gestibile
le persone si aspettano di avere controllo sui loro dati personali, e quando avvertono la mancanza di questo controllo, possono diventare scettiche nei confronti del marketing digitale. I professionisti del marketing dovrebbero fornire gli strumenti e le informazioni di cui le persone hanno bisogno per gestire le preferenze in materia di privacy, come la frequenza delle comunicazioni e la rinuncia alle categorie di interesse.
Google e BCG: privacy e aziende
Boston Consulting Group, per contro, ha analizzato il modo in cui i dati personali vengono utilizzati in azienda. In particolare, laddove il marketing digitale si è dimostrato più maturo, l’azienda ha saputo rispondere meglio, prima e in modo più incisivo alle sollecitazioni di mercato, ai cambiamenti e alla pressione che il contesto può in alcuni casi imporre. Di qui un quadruplo consiglio alle aziende, quattro principi importanti sui quali strutturare le proprie strategie future:
- Costruire un ciclo virtuoso intorno ai dati di prima parte: i brand migliori comprendono quali dati sono utili e perché, e costruiscono proposte convincenti intorno ai dati di prima parte per ottenerli. Una best-practice sui dati riguarda uno scambio di valore bidirezionale: da un lato l’azienda acquisisce la capacità di fornire una migliore esperienza al cliente e un marketing più efficace, mentre il cliente ottiene informazioni utili, assistenza e offerte.
- Investire nella misurazione end-to-end: la capacità di misurare l’impatto dei diversi tipi di interazioni, indipendentemente dal canale, diventerà sempre più cruciale in un mondo senza cookie. I brand dovrebbero puntare a una vera misurazione end-to-end, sfruttando i modelli predittivi per colmare qualsiasi lacuna.
- Dare priorità all’agilità: implementare buone pratiche relative ai dati e applicare un approccio alla misurazione di tipo “test-and-learn” (sperimentare e apprendere) è difficile quando si opera in strutture organizzative tradizionali e isolate. Le organizzazioni dovrebbero quindi dare la priorità alla collaborazione agile tra team per essere pronte a rispondere più rapidamente alle dinamiche in continua evoluzione del mercato.
- Adottare nuove competenze e collaborazioni: i brand migliori rispondono alle carenze di competenze riqualificando il proprio personale e contemporaneamente sviluppano programmi di fidelizzazione per attrarre e trattenere i talenti. I brand dovrebbero innanzitutto colmare le lacune in termini di competenze mediante partnership, prima di sviluppare un’analisi più approfondita del miglior equilibrio tra capacità interne ed esterne.
Questi studi dimostrano come in pochi anni la percezione del tema “privacy” sia notevolmente mutato e con esso tutto quel che concerne il marketing, le attività data-driven ed i processi decisionali in azienda. La fase di cambiamento impone uno studio continuo delle dinamiche in atto perché ancora non è chiaro quale sarà il punto di approdo di questa situazione, se non che si andrà nel senso della responsabilità: è questo quel che le aziende devono mettere sul piatto per incontrare i favori di un’utenza dalla sensibilità mutevole e variegata, ma al tempo stesso sempre più consapevole.
Questi studi di riferimento forniscono un modello per le aziende che vogliono soddisfare il crescente desiderio di privacy del pubblico e, a loro volta, costruire relazioni più profonde e significative con i loro clienti. La privacy non è più un “nice to have”: per i clienti è essenziale. I nostri risultati oggi mostrano che le persone sono disposte a condividere i loro dati, a condizione che i brand siano trasparenti su quali dati raccolgono, come vengono utilizzati e qual è il vantaggio per il cliente. Non c’è futuro per la pubblicità digitale senza privacy. È vitale che i brand si adattino a questo panorama in evoluzione investendo in una migliore misurazione end-to-end, creando uno scambio di valore chiaro e bidirezionale incentrato sui dati di prima parte e abbracciando nuove competenze e partnership
Matt Brittin, President of Business and Operations di Google in EMEA