Gli strascichi delle vicissitudini successive al lancio di Google Buzz continuano a dare pensiero ai legali di Mountain View, che stavolta si ritrovano a dover schivare le accuse , controfirmate tra l’altro anche dal Garante per la protezione dei dati personali Francesco Pizzetti, riguardo all’atteggiamento nei confronti della privacy in particolare nell’episodio in cui Gmail era stata trasformata in un social network all’insaputa degli utenti.
Dal canto loro quelli di Google hanno risposto spiegando di avere a cuore la questione della privacy, di essere in contatto pressoché costante con i responsabili dei vari paesi e di rispettare cinque fondamentali principi nel portare avanti il proprio operato che per certi versi sembrano ricalcare le richieste minime evidenziate nella lettera datata 19 aprile.
Il destinatario della missiva era il CEO Eric Schimdt, ma è chiara l’intenzione dei delegati di Canada, Francia, Germania, Israele, Italia, Irlanda, Olanda, Nuova Zelanda, Spagna e Regno Unito di volersi rivolgere alla miriade di developer dalle cui menti sono scaturite degli anni alcune tra le migliori innovazioni di Google, che però con Buzz hanno bypassato più o meno intenzionalmente alcuni principi fondamentali riguardanti la tutela della privacy .
“È inaccettabile che venga lanciato unilateralmente un servizio che rende pubbliche alcune informazioni personali e pensare di poter risolvere i problemi solo in un secondo momento – si legge nella lettera – la privacy non può essere messa da parte per fare strada alle nuove tecnologie. Per questo motivo invitiamo la vostra azienda a rispettare alcuni punti fondamentali sulla tutela dei dati personali”.
Ultimamente proprio Gmail era finita sotto i riflettori per essere stata scartata dalla sede di Davis dell’Università della California come clinet ufficiale per studenti e personale dell’ateneo: per motivare la bocciatura il senato accademico aveva dichiarato di non essere convinto delle misure di sicurezza riguardanti la privacy di Gmail, soprattutto alla luce di quanto accaduto con Google Buzz.
Per i regolatori della privacy BigG dovrebbe quantomeno fare in modo di richiedere e processare meno informazioni possibile e rendere estremamente chiaro il motivo per cui queste vengono richieste. Inoltre le impostazioni iniziali sulla privacy dovrebbero essere impostate di default in una modalità protetta e gli strumenti per modificare tali impostazioni dovrebbero anch’essi essere di facile utilizzo.
L’ultimo punto, che potrebbe anche essere interpretato come un monito indiretto a Facebook, prevede di rispettare la volontà dell’utente qualora decida di cancellare il proprio account, consentendogli di effettuare questa operazione in maniera semplice e in tempi ragionevoli. Sotto questo profilo Facebook si è trovata di recente a dover rispondere alle richieste di alcuni membri del congresso USA che chiedevano delucidazioni sul ruolo della privacy dopo l’introduzione di Open Graph.
Giorgio Pontico