Quando si parla di richieste di rimozione di contenuti l’associazione quasi immediata è con i “poteri censori” di stato o mercato. In realtà esiste anche l’altra faccia della medaglia, quella di individui vittime di diffamazioni a livello personale o professionale. È questo il caso di Toni Bennett , imprenditore britannico residente nella contea dello Shropshire, venuto a conoscenza, nell’aprile 2010, di una recensione della sua azienda su Google Places che lo qualificava con accuse non proprio leggere: furto e molestie su un bambino di nove anni.
Bennett, titolare della società di consulenza e assistenza informatica “That Computer Chap”, si è trovato davanti a questo messaggio, postato su Google Places da un certo “Paul”: “si è rubato la mia RAM e ha toccato mio figlio di 9 anni. Che artista della truffa, ha rubato la RAM dal mio computer e l’ha sostituita con un modulo più piccolo sperando che non me ne sarei accorto e poi mi sono accorto che ha toccato il mio bambino come non si dovrebbe fare”. Associato ad un invito a non concludere con lui alcun tipo di affare.
Comincia così l’odissea dell’imprenditore britannico: scrive immediatamente diverse email all’assistenza di Google chiedendo un contatto telefonico ma una volta provato a comporre il numero non ottiene nessuna risposta dall’altra parte della cornetta. Bennett si rivolge allora alla polizia ma gli viene risposto che, pur essendo a conoscenza della falsità del commento, le forze dell’ordine non avrebbero poteri per intervenire.
Google alla fine ha rimosso il post, poiché BigG si riserva il diritto di intervenire su commenti ritenuti inappropriati o inesatti. Resta da vedere se quest’azione possa essere giudicata sufficiente. In questi 18 mesi Bennett ha dichiarato di aver perso circa l’80 per cento dei guadagni abituali e di aver pensato di denunciare Google per diffamazione, dopo le ripetute occasioni in cui l’azienda californiana ha ignorato le sue sollecitazioni. La BBC ha contattato Mountain View per un commento ma la sola risposta che ha avuto è stata: “Abbiamo regole rispetto a episodi di incitamento all’odio o di furti d’identità ma non siamo nella posizione per arbitrare singole dispute. In ogni caso, abbiamo messo a disposizione un sistema gratuito che permette ai proprietari di imprese di richiedere la lista di commenti che li riguardano, il che significa che possono rispondere alle recensioni e condividere il loro punto di vista sulla situazione in oggetto”.
Problemi simili non sono una novità per i servizi di rating e recensione: la BBC ha intervistato Chris Emmins, fondatore di Kwikchex , azienda che si occupa di tutelare persone e imprenditori vittime di diffamazione online. Emmins, sottolineando la delicatezza e la rilevanza del problema, ha proposto un incontro a cui partecipino i soggetti interessati come Google, TripAdvisor, Microsoft, Yelp, con il fine di produrre una sostanziale revisione della legislazione esistente in materia. Quella attuale, conclude Emmins, risale agli anni ’90, quando ancora i siti di recensione non esistevano.
Elsa Pili