Scorreranno verso il basso nelle pagine dei risultati, affossati da alternative che i detentori dei diritti considerano meno pericolose: Google aggiusta i propri algoritmi per tentare di isolare le mele marce della pirateria, i siti che offrono ai cittadini della rete paradisi di condivisione di contenuti in violazione del copyright. A suggerire alla Grande G come posizionare i risultati sono gli stessi detentori dei diritti: sul posizionamento dei siti pesa ora anche il numero di richieste di rimozione pervenute da parte dell’industria dei contenuti, basate su istituzioni legali come il DMCA .
Ad annunciare l’avvento del nuovo tassello nella complessa strategia di affiancamento di Google ai signori del copyright è un post ufficiale sul blog dedicato al search: “i siti che totalizzano alti numeri di richieste di rimozione potrebbero comparire nei nostri risultati in posizione più bassa”, spiega dalla divisione tecnica Amit Singhal. Ad essere prese in considerazione saranno solo le richieste giustificate e valide che coinvolgono una determinata URL: le rimozioni dei singoli link dall’indicizzazione verranno effettuate, come avvenuto finora , solo in caso di richiesta valida; le richiesta valide, formulate per singola pagina, contribuiranno ad assegnare un punteggio di demerito alla globalità del sito.
Non sorprende dunque il plauso dell’industria dei contenuti, sempre più zelante nelle richieste di rimozione , con RIAA che si complimenta con Google per aver finalmente compiuto un passo a lungo invocato , e con MPAA che si dice “ottimista rispetto al fatto che la mossa di Google aiuti a indirizzare i consumatori verso la miriade di servizi legittimi”, lontano da “cyberlocker, siti dedicati al P2P, e altre attività fuorilegge che rubano il duro lavoro di chi crea”. L’industria del copyright “osserverà da vicino” questa mossa di Google: “il diavolo si annida nei dettagli”, ricorda MPAA, e Google ha spiegato che il parametro delle richieste di takedown si affiancherà agli oltre 200 utilizzati per soppesare i siti e posizionarli fra i risultati.
E se MPAA usa cautela nell’auspicare una collaborazione di Google che promuova la legalità, l’apprensione striscia fra i cittadini della Rete. Così come il sistema di notice and takedown previsto dalla legge e offerto da Google è tutto fuorché perfetto, ed è spesso protagonista di rimozioni indebite e ripristini con scuse, farvi affidamento per condizionare la visibilità dei siti fra i risultati di ricerca potrebbe generare problemi. Sono preoccupazioni sollevate da associazioni che si battono a tutela dei diritti dei netizen come Public Knowledge e EFF , che, sottolineando l’ opacità dei meccanismi adottati dalla Grande G, sollevano il dubbio che questo cambio negli algoritmi possa minacciare siti legittimi , magari solo per una mancanza di proporzionalità tra vastità del sito e numero di richieste di rimozione o per la natura stessa dei servizi di condivisione, fra i più bersagliati dalle segnalazioni dei detentori dei diritti.
A queste perplessità si aggiungono poi dei nodi più insinuanti . YouTube è una piattaforma che ospita contenuti caricati dagli utenti e, pur dotata dei filtri sin troppo rigidi di ContentID, riceve numerosissime segnalazioni di violazione. Per vasto e popolato che sia, però, YouTube non figura alle prime posizioni fra i servizi annoverati da Google nel suo report dedicato alla trasparenza delle richieste di rimozione da parte dei detentori dei diritti, poiché le richieste di takedown seguono un percorso interno alla piattaforma , non solo quello mediato dal search . YouTube potrebbe in qualche modo rivelarsi immune al provvedimento di Mountain View e sfuggire al nuovo parametro delle richieste di rimozione, mantenendo salda la propria posizione fra i risultati di ricerca?
Google ha fatto parziale chiarezza : YouTube non parte avvantaggiato , poiché le richieste di rimozione espresse in relazione ai contenuti vengono combinate con quelle espresse in relazione ai risultati di ricerca generica mostrati da Google.
Ma non è tutto. Google rasserena altresì i gestori delle piattaforme più a rischio, quelle che ospitano materiale caricato dai netizen: “non ci aspettiamo che questo cambio faccia retrocedere i risultati relativi a siti popolari che ospitano contenuti generati dagli utenti”, quali Facebook, IMDB, Tumblr e Twitter. Quello delle richieste di rimozione, spiega Google, non è che uno dei fattori presi in considerazione dall’algoritmo : un fattore che viene messo in relazione con altri parametri, che aiuterebbero a soppesarne l’influenza.
Ma se Google confida nella raffinatezza del proprio algoritmo, la variabile fallata nel sistema potrebbe risiedere a monte, cioè nella validità o meno delle richieste di rimozione inoltrate a Google . Mountain View ricorda che solo le richieste valide verranno prese in considerazione perché vengano macinate dall’algoritmo e che, in ogni caso, le richieste dei detentori dei diritti restano contestabili. Le richieste di rimozione ingiustificate e portate a termine, però, pullulano, dentro e fuori dai servizi di Google, imbracciate anche per motivazioni che appena lambiscono il copyright.
Gaia Bottà