Non solo offerte di prodotti generici: Google consentirà a coloro che volessero accaparrarsi a pagamento il primo risultato delle ricerche di allettare i cittadini della rete chiamando in causa dei marchi registrati. Anche nel caso in cui l’inserzionista non sia il detentore dei diritti sul trademark.
Il cambio della policy, annunciato dalla Grande G per il solo mercato statunitense , consegna a coloro che pubblicizzano la propria attività fra i risultati di ricerca la possibilità di fare leva su marchi altrui. Google cita l’esempio di un giornale: chi si lascerebbe convincere da un annuncio pubblicitario di un supermercato che si limitasse a segnalare che in promozione ci sono diversi tipi di snack e non piuttosto i veri e propri prodotti investiti dalla promozione? Gli inserzionisti che si avvalessero di Google AdWords, fino ad ora, non hanno avuto la possibilità di citare nel proprio annuncio dei marchi registrati: dal 15 giugno verranno mostrati anche gli annunci di coloro che si aggiudicheranno l’asta con una descrizione che citi esplicitamente uno specifico marchio.
Certo, esistono delle limitazioni, condizioni che Google ricava dal quadro normativo statunitense. I marchi registrati potranno essere citati nel testo dell’annuncio qualora siano assurti ad indicare il prodotto generico: resta da definire, ad esempio, lo status di un marchio come netbook , rivendicato dall’azienda che nel 2000 aveva lanciato sul mercato un prodotto con questo marchio e rifiutato da Google nelle inserzioni nonostante venga comunemente usato per indicare la categoria dei portatilini.
Nel nuovo corso di AdWords, analogamente a quanto già avviene con i servizi offerti da Microsoft e Yahoo, ci sarà spazio anche per un altro utilizzo dei marchi registrati: coloro che gestiscano uno store e vendano prodotti del marchio citato potranno indicarlo nel testo dell’annuncio, in modo da chiarire fin dal principio al netizen a quale ventaglio di prodotti potrà accedere. Lo stesso discorso varrà per coloro che propongono ai cittadini della rete materiale di ricambio: solo facendo riferimento al trademark del prodotto per cui offrono componenti potranno valorizzare la propria inserzione. In entrambi i casi sarà necessario che colui che paga per l’annuncio offra sulla pagina linkata un chiaro riferimento alla vendita di prodotti di quel marchio o dei suddetti ricambi. Il marchio potrà essere utilizzato anche da coloro che vogliano invitare i cittadini della rete a consultare un sito informativo esplicitamente dedicato al prodotto citato. Google non avrà nulla da disquisire nel momento in cui la pagina linkata non offra in vendita o pubblicizzi prodotti offerti dai competitor del marchio citato nell’inserzione.
Mountain View mette le mani avanti: “Google non è nella posizione di dirimere controversie in materia di trademark tra gli inserzionisti e i detentori dei diritti sul marchio registrato”. La Grande G è stata più volte coinvolta in casi di violazione di trademark, più volte anche molto recentemente ha dovuto confrontarsi con detentori dei diritti su marchi branditi da inserzionisti per intercettare chiavi di ricerca e sfruttare l’interesse dei netizen per brand noti. Diversi tribunali del mondo hanno offerto risposte divergenti, soprattutto in materia di keyword pubblicitarie: c’è chi ha considerato lecito il fatto che Google permetta agli inserzionisti di utilizzare dei marchi registrati come parole chiave che fungano da innesco per link sponsorizzati che nulla hanno a che vedere con i prodotti sponsorizzati con i marchi registrati, altri tribunali hanno invece decretato che Google debba vigilare e respingere le inserzioni restituite quando la chiave di ricerca non sia attinente con il prodotto pubblicizzato e l’annuncio risulti ingannevole o favorisca una concorrenza illecita con il marchio di cui si è abusato.
Se l’atteggiamento di Google nei confronti dei detentori dei diritti è interpretato da alcuni come una sfida, da altri come un’operazione diplomatica che finirà per accontentare inserzionisti e detentori dei diritti, tutti sembrano concordare sul fatto che la mossa frutterà a Google denaro sonante. Il traffico generato dai risultati delle ricerche a pagamento è in discesa , sono sempre meno gli inserzionisti che lo considerano uno strumento in cui vale la pena investire in maniera massiccia: senza doversi rassegnare alla genericità, con la possibilità di fare leva su parole chiave che possano attrarre l’interesse dei netizen, potrebbero essere più numerosi coloro che parteciperanno all’asta per aggiudicarsi la visibilità del link sponsorizzato.
Gaia Bottà