E se l’applicazione che guida i nostri spostamenti quotidiani influenzasse anche il nostro modo di pensare? Questa è la domanda sollevata da un gruppo di ricercatori in risposta alle recenti modifiche apportate a Google Maps.
Rinominare il Golfo del Messico in Golfo d’America o ripristinare il Monte McKinley al posto del Monte Denali non sarebbe un fatto insignificante. Secondo alcuni esperti, questi “ritocchini”, insieme alla rimozione delle recensioni negative, potrebbero rimodellare la nostra cognizione senza che ce ne rendiamo conto.
Google Maps nel mirino: “Può modificare la nostra mente”
Alla base di questa preoccupazione c’è un concetto chiamato “mente estesa“. Teorizzato negli anni ’90 da Andy Clark e David Chalmers, suggerisce che i nostri strumenti digitali non sono semplici ausili, ma estensioni del nostro cervello. Per intenderci, Google Maps non si limita a memorizzare itinerari: influenza la nostra memoria spaziale e le nostre decisioni, fino a diventare parte integrante del nostro pensiero.
Immaginiamo di consultare l’app e di scoprire il nome di un nuovo luogo. Il primo istinto è quello di avere dei dubbi, poi di abituarsi. È questo meccanismo, noto come “influenza passiva“, ad allarmare gli specialisti. Modificando i punti di riferimento geografici senza un dibattito pubblico, Google interferisce nella nostra costruzione mentale del mondo. Peggio ancora, cancellando le opinioni negative, l’azienda accelera questa accettazione silenziosa.
Questa logica si basa su un fenomeno più ampio: l’economia dell’attenzione. I giganti della tecnologia stanno trasformando i nostri pensieri in terreni di caccia, catturando sempre più tempo e interazioni. Come sottolinea il filosofo James Williams, ex stratega di Google, l’obiettivo è semplice: tenere l’utente incollato allo schermo. Il risultato? Il nostro cervello sta gradualmente delegando funzioni essenziali (memoria, orientamento, analisi critica) agli algoritmi.
Possiamo difenderci dalla manipolazione digitale?
Anche le implicazioni legali sono sul tavolo. Se uno smartphone è considerato un’estensione della nostra mente, potremmo legiferare contro la manipolazione digitale? Karina Vold, specialista in scienze cognitive, parla della necessità di proteggere i nostri processi mentali da influenze esterne. Una sfida colossale, in un’epoca in cui gli aggiornamenti del software possono cambiare la nostra realtà condivisa con un semplice clic.
Il confine tra persuasione e coercizione sta diventando sempre più labile. Tradizionalmente, la persuasione rispetta il nostro libero arbitrio. Ma quando le modifiche vengono apportate a nostra insaputa, come un nome di luogo che scivola su una mappa, la nostra autonomia cognitiva vacilla. Google Maps, uno strumento ultra-dominante, incarna questo rischio: controlla non solo i nostri viaggi, ma anche il nostro modo di percepire lo spazio.