In un’epica battaglia combattuta a colpi di azioni di lobbying, di citazioni in tribunale e di reciproche accuse di scalata al monopolio, Google e Microsoft, le due superpotenze dell’IT, si sono prodotte nell’ennesimo botta e risposta. Ultima istantanea dello scontro: Google, in posizione favorevole davanti al Dipartimento di Giustizia, decide di affondare la lama in una Microsoft sbilanciata, assestando un colpo duro. Un colpo che Microsoft tenta ora di schivare sulla linea del tecnicismo legale.
Nel quadro dell’ acquisizione di DoubleClick da parte di Google, Microsoft aveva accusato BigG di coltivare ambizioni monopolistiche, accuse che avevano innescato in Google una bruciante reazione, concretizzatasi in una denuncia contro Microsoft per concorrenza sleale per l’integrazione del desktop search di Microsoft in Windows Vista. Stoccate che Microsoft ha prima respinto , e poi incassato, con la promessa di affidare al prossimo Service Pack, previsto in una versione beta per fine 2007, il compito di riportare la concorrenza a livelli più bilanciati. Ma a Google non basta .
A parere del leader del search, infatti, Microsoft va marcata più stretta, e l’arbitraggio antitrust fin qui operato dalla Corte dovrebbe essere più severo: “Va fatto qualcosa in più per consentire agli utenti una scelta davvero libera del prodotto per il desktop search”. Questa la risposta di Google, espressa in un documento ripubblicato da The Register , in cui Google rivolge il suo appello direttamente al giudice, agendo come amicus curiae , come non fosse una parte in causa o non fosse adeguatamente rappresentato nella disputa.
Microsoft ha assicurato che consentirà l’utilizzo di qualsiasi prodotto per la ricerca in locale, ma la difficoltà di disabilitare la funzione integrata in Windows Vista e la predominanza visiva della funzione Microsoft non soddisfano Google. Tali promesse restano troppo vaghe , sostiene Mountain View, e troppo ambiguo sarebbe il passato agire di Microsoft: per questo motivo BigG chiede che Microsoft sia costretta a chiarire meglio le proprie intenzioni, in modo che Google e gli altri concorrenti possano valutare lo scenario ed, eventualmente, fornire alla Corte ulteriori elementi per dirimere la questione.
Altra arma impugnata da Google nel documento, è il prospettare l’eventualità che, complici i ritardi strategici nel rilasciare il Service Pack, possa decadere l’obbligo che costringe Microsoft a sottostare a stringenti e specifiche normative antitrust, decretate dal Final Judgement che nel 2002 aveva tentato di placare la guerra dei browser. È paventando questo scenario, e ricordando la carriera di inadempienze che Microsoft può vantare, che la potente lobby di Google si rivolge direttamente al giudice federale Colleen Kollar-Kotelly, che dal 2001 si era occupata del caso antitrust che ha coinvolto Microsoft. A parere di Google, è necessario prolungare di quattro anni la durata del decreto , per evitare che Microsoft sfugga ai suoi doveri, rilasciando la beta del primo Service Pack di Windows Vista dopo che il provvedimento abbia già cessato di essere in vigore.
La risposta di Microsoft, però, non si è fatta attendere. Con una reazione immediata, e una contromemoria sottoposta alla Corte, la più grande softwarehouse del Mondo intende richiamare l’attenzione sull’ illegittimità dell’intervento di Google in qualità di amicus curiae . Google, inoltre, anche ammessa la possibilità che si pronunci come terza parte esterna, assumerebbe un ruolo che non gli consentirebbe di ampliare la prospettiva della questione, avanzando richieste. Per questo motivo la Corte dovrebbe respingere la mozione del colosso di Mountain View.
Il modello di business delle due aziende, e la loro competizione, sconfina in mercati sempre nuovi: non fanno eccezione le aule di tribunale, campi di battaglia in cui i competitor si dimostrano a loro agio. Siamo solo all’inizio.
Gaia Bottà