Google detiene il monopolio nei territori delle ricerche e delle pubblicità online. Così si è espresso Amit Mehta, giudice federale d’oltreoceano, in un documento da 286 pagine (PDF) pubblicato dallo United States District Court for the District of Columbia, relativo a una causa antitrust che vede il Dipartimento di Giustizia contro il gruppo di Mountain View.
Dopo aver attentamente considerato e soppesato le testimonianze e le prove, la corte è giunta alla seguente conclusione: Google è un monopolista e ha agito come tale, per mantenere il suo monopolio.
Google e il monopolio: la sentenza
Come da prassi, la replica di bigG non si è fatta attendere (rimandiamo all’articolo dedicato per leggerla nella sua forma integrale). È giusta sotto forma di una dichiarazione attribuita a Kent Walker, President of Global Affairs. Eccola in forma tradotta.
Questa decisione riconosce che Google offre il miglior motore di ricerca, ma conclude che non ci dovrebbe essere consentito di renderlo facilmente disponibile. Mentre questo processo continuerà, rimarremo concentrati sul realizzare prodotti che le persone trovano utili e semplici da utilizzare.
Tra le realtà che hanno testimoniato contro Google ci sono anche i rappresentanti di DuckDuckGo, motore di ricerca alternativo da qualche tempo attivo anche sul fronte browser. La società ha applaudito alla decisione presa del giudice, sottolineando come la battaglia legale non sia conclusa. Queste le parole di Kamyl Bazbaz, Senior Vice President Communications & Public Affairs.
Il viaggio che ci attende sarà lungo. Come stiamo vedendo nell’Unione Europea e in altri territori, Google farà qualsiasi cosa in suo potere per evitare di cambiare la propria condotta. Tuttavia, sappiamo che c’è una domanda repressa per alternative nella ricerca e questa sentenza sosterrà l’accesso a più opzioni.
Va precisato che il giudice non ha riconosciuto la validità di tutte le accuse mosse dal Dipartimento di Giustizia, confermando comunque la situazione di monopolio nell’ambito dei servizi di ricerca generali
e nell’advertising testuale nelle ricerche generali
.
La battaglia legale sarà lunga
Non è chiaro cosa potrà comportare la sentenza odierna per il futuro di Google, poiché fa riferimento esclusivamente alle responsabilità della condotta attuata dall’azienda, non ai possibili rimedi da imporre.
Di certo, tocca punti delicati, incluso quello relativo ai contratti sottoscritti con realtà come Apple, per spingere l’utilizzo del proprio motore di ricerca sui dispositivi commercializzati e all’interno dei browser distribuiti. Nel caso del gruppo di Cupertino, è descritta una strategia lesiva della concorrenza.
La prospettiva di perdere decine di miliardi in entrate garantite da Google, che attualmente comportano un costo minimo o nullo per Apple, disincentiva Apple dal lanciare il proprio motore di ricerca, quando disporrebbe della capacità per farlo.
Il concorrente Bing non fa paura
Sempre in relazione alle scelte della mela morsicata, è citato un passaggio della testimonianza di Eddy Cue, Senior Vice President of Services, che chiama in causa Microsoft e il suo servizio.
Non c’è cifra che Microsoft potrebbe mai offrire per precaricare Bing.
Nell’ambito dei motori di ricerca, Google ha incrementato il proprio market share dall’80% al 90% nel periodo compreso tra il 2009 e il 2020, mentre Bing è oggi fermo a meno del 6%, non costituendo di fatto un concorrente.
Discorso del tutto simile sul fronte advertising, dove il dito è puntato in primis nei confronti degli accordi di esclusività sottoscritti.