La notizia è ormai nota, la Corte d’Appello di Bruxelles ha confermato la Sentenza dei giudici di primo grado e ribadito che, almeno secondo il diritto belga, Google con i suoi servizi Google Cache e Google News, violerebbe il diritto d’autore degli editori di giornali e periodici.
La vicenda si inserisce nell’ormai epica crociata degli editori contro Big G e, più in generale, gli aggregatori di news: rei, a dire dei vecchi signori della carta stampata, di porre in essere condotte parassitarie nei loro confronti, lucrando sull’altrui sforzo creativo ed intellettuale.
Nello stesso solco – benché in una prospettiva completamente diversa – si colloca, d’altra parte, anche il procedimento, a suo tempo promosso dalla FIEG – Federazione Italiana Editori di Giornali – dinanzi all’Autorità Antitrust italiana e poi conclusosi con l’accettazione da parte dell’AGCM degli impegni formulati da Google.
A prescindere dai profili tecnico-giuridici relativi alla possibilità di ritenere o meno Google effettivamente responsabile di violare i diritti di proprietà intellettuale degli editori, c’è un aspetto della vicenda che lascia perplessi: l’ambiguità della posizione degli editori che mentre lamentano di soffrire danni gravissimi dal servizio di aggregazione di Big G, ad un tempo, si guardano bene – salvo poche eccezioni – dall’avvalersi degli strumenti messi a loro disposizione per domandare di essere esclusi da tale servizio.
È un atteggiamento singolarmente coincidente con quello tenuto dai grandi broadcaster nei confronti delle piattaforme di user generated content : come accaduto nella vicenda che vede contrapposta Mediaset a Google dinanzi al Tribunale di Roma, anziché chiedere la rimozione di taluni video, attraverso l’apposita procedura, si è preferito agire per ottenere un faraonico risarcimento dei danni asseritamente sofferti per oltre 500 milioni di euro!
L’obiettivo perseguito dagli editori sembrerebbe evidente: non hanno alcuna intenzione di scendere dalla piattaforma di Google News e sono, a dir poco, terrorizzati all’idea di ritrovarsi – rischio che, peraltro, non corrono – estromessi dall’indicizzazione del motore di ricerca, ma vorrebbero invece essere pagati per restare a bordo.
Si tratta di una prospettiva che, peraltro, sembrano aver fatto propria – e quasi condividere – anche i Giudici della Corte d’Appello di Bruxelles che infatti nella loro decisione, hanno avvertito l’esigenza di mettere nero su bianco, con formula di dubbia opportunità, che “la controversia esiste esclusivamente perché Google si rifiuta di concludere un accordo ragionevole con le società di gestione collettiva dei diritti, pur disponendo delle necessarie risorse finanziarie”.
Parole non troppo diverse da quelle – egualmente inopportune – pronunciate nel settembre del 2009 dal Presidente della nostra Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che, nel mezzo del procedimento pendente dinanzi alla medesima Autorità, nel commentare le trattative in corso tra Big G e gli editori statunitensi, disse “Io spero che anche in Italia si imbocchi questa strada per chiudere senza troppi incidenti questa che è una procedura altamente sanzionatoria”.
Gli accordi tra soggetti operanti a livelli ed in ruoli diversi della catena distributiva, naturalmente, sono sempre possibili e – almeno quando non restrittivi della libertà di mercato – auspicabili ma sembra evidente che gli editori non possono, in alcun modo, esigere che Google si renda disponibile a mettere mano al portafoglio per continuare ad intermediare i loro contenuti.
Allo stesso modo – e sembra opportuno dirlo prima che qualcuno si affezioni all’idea – gli editori che sin qui hanno scelto di non attivarsi per ottenere la rimozione dei propri contenuti da Google News, certo non potranno in futuro chiedere ad un Giudice di condannare Big G a risarcirgli qualsivoglia genere di pregiudizio vero o presunto, e ciò in virtù della regola generale – di buon senso oltre che di diritto – secondo la quale nessun risarcimento è dovuto per i danni che chi lo richiede avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
Sarebbe quindi opportuno che gli editori scelgano, una volta per tutte – e ciascuno secondo i propri obiettivi e modelli di business – se intendono approfittare dei vantaggi posti a loro disposizione dalle nuove tecnologie o piuttosto continuare a remare contro nella consapevolezza, però, che una strada esclude l’altra e che non si può il lunedì chiedere ad un intermediario della comunicazione i danni per aver indicizzato senza autorizzazione un contenuto e, ad un tempo, il martedì presentarsi ad incassare gli utili derivanti dai maggiori contatti registrati proprio grazie alla presenza dei propri contenuti sulle pagine di motori di ricerca, user generated content e aggregatori di news.
La dialettica tra vecchi e nuovi modelli di business e protagonisti del mercato è costruttiva ed utile al sistema solo se leale, trasparente e non ambigua.
Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it