Mettiamo subito le cose in chiaro: non vi è alcuna prova che Google abbia letto i vostri messaggi WhatsApp né visto quelle foto (sì, quelle) al fine di estrapolare informazioni utili per mostrarvi inserzioni pubblicitarie personalizzate e cedere i dati a realtà terze con finalità di marketing. Questo è quanto. È doveroso partire da qui considerando i titoli volutamente sensazionalisti che circolano in queste ore a proposito della vicenda. Cosa è accaduto? Cerchiamo di spiegarlo nel dettaglio.
Google legge i messaggi di WhatsApp? Facciamo chiarezza
Ieri i procuratori generali di 10 stati americani (Texas, Arkansas, Idaho, Indiana, Kentucky, Mississippi, Missouri, Dakota del Nord, Dakota del Sud e Utah) hanno mosso una formale accusa antitrust (differente da quella che ha invece riunito 38 stati) nei confronti del gruppo e delle sue pratiche relative all’advertising. Alla pagina 57/130 del documento depositato si cita un presunto accordo esclusivo con Facebook al fine di poter accedere a messaggi, foto, video e audio scambiati dagli utenti su WhatsApp. Ne riportiamo di seguito un estratto traducendo le parti leggibili.
Google ha anche violato la privacy degli utenti in altri modi convenienti per Google. Ad esempio, poco dopo che Facebook ha comprato WhatsApp, nel 2015, Facebook ha siglato un accordo esclusivo con Google permettendo a Google l’accesso a messaggi, foto, video e file audio scambiati su WhatsApp da milioni di americani tramite crittografia end-to-end.
Si fa riferimento al fatto che tutto questo sia avvenuto all’insaputa degli utenti. C’è anche un video condiviso su Twitter in cui Ken Paxton, procuratore generale del Texas, riassume i punti salienti della causa antitrust intentata contro il gigante di Mountain View per questioni legate principalmente al mercato delle pubblicità online.
#BREAKING: Texas takes the lead once more! Today, we’re filing a lawsuit against #Google for anticompetitive conduct.
This internet Goliath used its power to manipulate the market, destroy competition, and harm YOU, the consumer. Stay tuned… pic.twitter.com/fdEVEWQb0e
— Texas Attorney General (@TXAG) December 16, 2020
Non vengono forniti dettagli, ma considerando come l’acquisizione di WhatsApp da parte di Facebook sia da far risalire all’ottobre 2014 e come proprio in quell’anno abbia preso il via l’implementazione della crittografia end-to-end (arrivata a concludersi nel 2016), nemmeno il gruppo di Mark Zuckerberg ha o avrebbe avuto modo di accedere alle informazioni scambiate dagli utenti all’interno delle chat.
Forse il riferimento è ai backup delle conversazioni su Drive, che però a differenza di quanto sostenuto vengono eseguito solo dopo l’ottenimento dell’esplicito consenso da parte dell’utente. Le due società non hanno rilasciato alcun commento in merito per via della causa legale in corso, limitandosi a smentire entrambe di aver sottoscritto accordi di questo tipo. Inoltre bigG rimanda a un post di giugno firmato dal CEO Sundar Pichai in cui si parla proprio della volontà di tutelare la privacy quando si tratta di contenuti come questi.
Non vendiamo le informazioni a nessuno e non utilizziamo le informazioni delle app in cui salvate principalmente contenuti personali come Gmail, Drive, Calendar e Foto per finalità di advertising. Punto.
Ad ogni modo l’accusa mossa non può essere ignorata, anzitutto perché esito di un’indagine durata a lungo e basata su una serie di prove raccolte. Purtroppo, non essendo il documento accessibili in ogni sua parte, è al momento difficile approfondire la questione. Un’ipotesi è che si riferisca alla trattativa per un eventuale accordo e non a un accordo poi effettivamente stipulato. Si tornerà di certo a parlarne. Google e Facebook hanno quantomeno il dovere di fare chiarezza con un comunicato chiaro e dettagliato messo a disposizione degli utenti. Detto questo, ad oggi non sono state rese pubbliche prove concrete che quanto descritto nel documento sia realmente accaduto.