Martedì 6 novembre 2012, il network di Google finisce parzialmente offline: il blackout dura mezz’ora, interessa il 3-5 per cento della popolazione mondiale di Internet ed è scaturito da un guasto hardware e dalla successiva configurazione software dell’ISP indonesiano Moratel.
Ad accorgersi che qualcosa non andava sono stati a ogni modo quelli di CloudFlare, servizio di CDN (content-deliverly network) che ora fa luce sui retroscena dell’accaduto sul suo blog corporate : un ingegnere di rete di Moratel ha modificato la configurazione di routing per sopperire a un gusto hardware, spiega CloudFlare, e nel farlo ha permesso la diffusione di indirizzi di routing “fasulli” tramite il protocollo BGP (Border Gateway Protocol).
Un problema già noto , quello dell’inaffidabilità dei “confini” telematici tra le singole reti che formano Internet, derivato dal sistema di fiducia automatica tra gli apparati responsabili di “calcolare” le rotte per la risoluzione degli indirizzi IP per permettere l’accesso dei vari siti Web da ogni parte del mondo.
Fortunatamente per Google e i netizen mondiali – particolarmente colpiti dall’incidente sono stati quelli asiatici – l’ingegnere di CloudFlare che si è accorto del problema ha avuto modo di contattare un suo conoscente alle dipendenze di Moratel: le rotte di risoluzione degli IP sono state corrette e l’incidente si è così concluso velocemente , senza nemmeno la necessità di un intervento diretto da parte di Gogle.
La nuova debacle del protocollo BGP è un efficace promemoria di come Internet sia un sistema basato sulla fiducia, ricorda l’ingegnere di CloudFlare. Anche se si è dei colossi come Google, “fattori esterni dal tuo controllo diretto possono impattare sulla capacità dei tuo clienti di raggiungere il tuo sito”. Ai tecnici il compito di monitorare costantemente lo stato della connettività per garantire un funzionamento costante del network mondiale.
Alfonso Maruccia