Eric Schmidt ha annunciato Google One Pass , un sistema di pagamento che “consente agli editori online di addebitare ai clienti il costo di articoli e altri contenuti”.
Il principio seguito ricalca il motto Kindle e Google eBookstore “acquista una volta, visualizza ovunque”: una volta effettuato l’acquisto o sottoscritta una forma di abbonamento con una specifica testata o di un editore, l’utente potrà leggere i suoi contenuti sia via Web che tramite app mobile e su diversi dispositivi. Sempre che “le condizioni d’uso del sistema operativo utilizzato permettano agli editori l’accesso al Web tramite app”, e dunque per il momento con qualche ombra circa l’effettiva presenza su iOS.
Della nuova offerta di abbonamento con possibilità di acquisti in-app di Cupertino, d’altronde, Google sembra proprio voler rincorrere la tempistica per trasformare le smorfie di insoddisfazione generate dall’offerta di Apple in ammiccamenti nei suoi confronti. Il sistema promette di riuscire, su un’unica piattaforma, ad autenticare gli utenti, elaborare e gestire i pagamenti e veicolare i contenuti, grazie all’integrazione con l’altro servizio di casa Google Checkout , e con l’apertura ai sistemi di pagamento in-app può avere la stessa trasversalità sui dispositivi mobile.
Google, peraltro, sembra chiedere il 10 per cento del fatturato più l’appoggio a Checkout (il 2 per cento di commissione su ogni transazione) molto meno di quanto (il 30 per cento) chiesto agli editori da un concorrente diretto come Apple.
A favore di Apple, strategicamente, resta quella che in diritto internazionale si chiamerebbe Clausola della nazione più favorita e che prevede cioè l’obbligo di adottare per gli acquisti sulle app iOS la migliore offerta messa a disposizione. Non sarà dunque possibile per un editore che opera sia su iOS che su Android abbassare il prezzo sulla piattaforma di Google. E quindi, a meno di una fuga di sviluppatori dai dispositivi Apple, non sarà presumibilmente una battaglia che si giocherà sui prezzi. Sarà anzi il mercato, e il ruolo che ricopriranno in particolare i tablet per l’editoria, a influenzare i mercati dei due avversari: in questo Apple ha ancora il vantaggio competitivo conquistato con iPad, che rappresenta un’allettante offerta messa sul piatto delle riviste digitali, per cui varrebbe la pena ancora lasciare sul tavolo il 30 per cento degli introiti.
I conti, comunque, gli editori se li iniziano a fare: Time, per esempio, ha iniziato a vendere abbonamenti che includono le app Android delle proprie riviste.
Sports Illustrated, la cui intenzione di vendere il proprio abbonamento in-app ha dato il la alla decisione di Apple di introdurre la novità ora annunciata, ha esordito ora con un abbonamento da 48 dollari l’anno che dà anche accesso alla rivista via tablet, smartphone e Web.
E con l’occasione ha lanciato una frecciatina indirizzata a Cupertino: “Amiamo Apple e iPad – ha detto il chief digital officer di Time – ma se i alcuni negozi ci chiuderanno fuori, bene, significherà solo che altri negozi riceveranno più traffico e più compratori”.
“La nostra intenzione non è monetizzare con il servizio – ha detto Schmidt – vogliamo invece che siano gli editori a fare tutti i soldi”. D’altronde la principale fonte di remunerazione di Mountain View resta anche nelle intenzioni future l’advertising, coniugato magari nella sua declinazione mobile.
“Da tempo lavoriamo con gli editori per aiutarli a individuare nuovi modi per fidelizzare i lettori, attrarre traffico verso i loro siti e monetizzare i contenuti online”, ha spiegato Carlo D’Asaro Biondo, dirigente Google. “Da questa collaborazione e dalla sperimentazione di varie tecnologie – prospetta – possono nascere nuovi strumenti per sostenere e stimolare il giornalismo online”.
“Il nostro obiettivo – ha sottolineato il Googler Lee Shirani – è quello di offrire una piattaforma aperta e flessibile che porti avanti il nostro impegno a favore di editori, giornalisti e contenuti di qualità”. Saranno questi ad attirare gli utenti alle sue app, al suo servizio di micropagamenti e magari al suo sistema operativo Android.
Agli editori, dice Google, resta solo da decidere cosa distribuire gratuitamente e cosa no, quanto far pagare e che metodi di pagamento implementare (a singolo articolo, con pass giornalieri, abbonamenti ecc.) e di fornire contenuti di qualità che valga la pena pagare.
L’interfaccia è “semplice e online”, e tramite di essa gli editori hanno la promessa di mantenere un rapporto diretto sia con gli utenti (così come con l’implementazione di un paywall saprebbero chi legge e quanto vengono letti i propri articoli), senza dover rinunciare alla diffusione garantita da strumenti come Google e dell’indicizzazione nei motori di ricerca e negli aggregatori come Google News. Inoltre offre la possibilità di offrire abbonamenti dalle proprie app senza le imposizioni previste da Apple.
Il servizio al momento è disponibile agli editori in Italia , Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti.
Claudio Tamburrino