È una voce delle condizioni di utilizzo di Google Docs & Spreadsheet ad aver sollevato in Rete un polverone di reazioni preoccupate, parzialmente diradato dai commenti di coloro che minimizzano, gridando al sensazionalismo. Di primo acchito , pare che Google possa detenere i diritti di proprietà intellettuale sui documenti che gli utenti condividono mediante i suoi applicativi.
La querelle si è scatenata a partire da un commento postato presso un blog di ZDNet : il commentatore osserva, senza concedere il beneficio del dubbio, che le condizioni di utilizzo delle cosiddette Google Apps attribuiscono a Google tutti i diritti sui contenuti degli utenti, contenuti che “Google potrebbe vendere o decidere di utilizzare per qualsiasi cosa desideri”.
Pronta l’ analisi dell’autore del blog, che si dichiara incompetente in materia, ma indignato.
Questa la frase incriminata, che si legge al paragrafo quarto dei terms of service : ” By submitting, posting or displaying Content on or through Google services which are intended to be available to the members of the public, you grant Google a worldwide, non-exclusive, royalty-free license to reproduce, adapt, modify, publish and distribute such Content on Google services for the purpose of displaying, distributing and promoting Google services. “.
Questa la versione italiana, rintracciabile al paragrafo 11 dei termini di servizio : ” Accettando, inviando o visualizzando il contenuto lei concede a Google una licenza eterna, irrevocabile, mondiale, priva di royalty e non esclusiva a riprodurre, adattare, modificare, pubblicare, eseguire pubblicamente, visualizzare pubblicamente e distribuire qualsiasi Contenuto che lei trasmette, invia o visualizza su o tramite i Servizi. Questa licenza ha come scopo esclusivo l’abilitazione di Google a visualizzare, distribuire e promuovere i Servizi e può essere revocata per determinati Servizi come definiti nei Termini Ulteriori di quei Servizi. “.
Si tratta della premessa ad uno scandalo dalle conseguenze dirompenti o del semplice inciampare di Google in una prassi terminologica poco trasparente?
Matt Asay, nel suo blog di cnet , sembra propendere per la cattiva fede di Google: smembrando il periodo in questione, Asay rileva come la semplice condivisione fra utenti potrebbe autorizzare BigG a rendere pubblici dei documenti riservati . Parimenti inquietante la vaghezza con cui Google definisce gli scopi per i quali potrebbe decidere sfruttare i contenuti prodotti dagli utenti, o agire su di essi.
È però un utente che si dichiara un fondatore di Writely, ora roba Google, a fornire spiegazioni in merito, fra i commenti al post di ZDNet . Se letto per intero, il paragrafo non ammette dubbi riguardo alle buone intenzioni di Google. BigG non si vuole appropriare dei diritti di proprietà intellettuale che spettano ai suoi utenti: semplicemente si assicura che gli utenti stessi concedano l’ autorizzazione affinché BigG possa operare sui documenti secondo la loro volontà . Se i detentori dei diritti negassero questa autorizzazione, Google avrebbe le mani legate nell’adempiere alla richiesta degli utenti stessi di pubblicare o condividere i documenti da loro prodotti mediante le Google Apps e depositati presso i server dedicati.
Una prospettiva che, segnalano alcuni utenti di Slashdot , è supportata dalla premessa allo stralcio incriminato : ” Google claims no ownership or control over any Content submitted, posted or displayed by you on or through Google services. You or a third party licensor, as appropriate, retain all patent, trademark and copyright to any Content you submit, post or display on or through Google services and you are responsible for protecting those rights, as appropriate. “. Una premessa così riportata nella versione italiana delle condizioni di utilizzo: ” Lei detiene il copyright e qualsiasi altro diritto che lei già possiede sul Contenuto che lei trasmette, invia o visualizza su o tramite i Servizi. “.
A differenza di quanto accaduto la scorsa estate a YouTube , i cui termini di servizio includevano clausole sibilline analoghe a quelle previste da Google, da BigG non sono ancora giunti chiarimenti ufficiali.
Gaia Bottà