Dopo il minimalismo della sua homepage, a cui sono stati risconosciuti i requisiti di brevettabilità, Google riesce nuovamente a farsi ascoltare dall’USPTO ed ottiene il brevetto 7,650,331 dal titolo: “Sistema e metodo per un’efficiente elaborazione dati di grandi dimensioni”. Generando preoccupazioni da parte degli osservatori: potrebbe coprire anche il principio del MapReducing che permette l’ elaborazione dati parallela
con il calcolo distribuito, di cui rappresenta ormai un fondamento .
L’algoritmo denominato MapReduce dovrebbe essere stato sviluppato da due ricercatori di Mountain View nel 2004, e serve a ottimizzare la distribuzione del carico di lavoro su numerosi server a disposizione. Nel corso degli anni è stato molto utile per ridurre drasticamente la distribuzione di ingenti mole di lavoro ottimizzando la suddivisione del peso computazionale e riducendo la mole di dati in output: l’efficienza che lo contraddistingue l’ha di fatto trasformato in standard tra le diverse opzioni disponibili.
Complice infatti anche un documento pubblicato da Google nel dicembre 2004 che descriveva come veniva implementato MapReduce , esso è divenuto una delle più comuni tecniche utilizzate per la parallelizzazione dei processi di calcolo. Hadoop , progetto Apache molto diffuso e tra l’altro utilizzato da Yahoo!, Amazon, IBM, Facebook e Hulu (nonché dalla stessa Google nel suo University Code ), è solo un esempio di implementazione di MapReduce di una parte terza. Anche CouchDB e QtConcurrent Framewok di Nokia lo utilizzano.
Il brevetto così riconosciuto a Google solleva, tra l’altro, non pochi dubbi : se il documento distribuito da Google – e di cui le rivendicazioni ricordano da vicino alcune espressioni – è comunque successivo alla data di deposito della domanda di brevetto, depositato pochi mesi prima a giugno (non inficiando così la novità), più complicato il discorso relativo all’innovazione, per cui un’eventuale dibattimento in aula potrebbe risultare fatale per la sua efficacia. Si tratterebbe comunque di un complesso dibattimento su ogni singola rivendicazione che si protrarrebbe notevolmente. D’altronde già in altre quattro occasioni la privativa era stata rifiutata dall’USTPO, mentre altri brevetti sulla medesima materia erano già stati concessi dell’Ufficio Brevetti. E altri avevano depositato domande sull’argomento, come la stessa Yahoo!.
L’intento di Google, tra l’altro, sembrerebbe essere quello di costruirsi un portafoglio brevetti tale da difendersi da eventuali attacchi di patent troll : ottenendo lei stessa eventuali armi da opporre ad azioni di infrazione. A cui nel corso degli anni è già stata frequentemente soggetta .
La strategia brevettuale finora adottata da Mountain View sembra d’altronde confermare tale ipotesi: non attaccare (don’t be evil), ma prevenire è meglio che curare.
Claudio Tamburrino