Si muove ed evolve in modo troppo rapido l’universo delle criptovalute perché il legislatore e le autorità possano regolamentarne le dinamiche. I tentativi fin qui messi in campo non sempre hanno condotto all’esito sperato. C’è chi di conseguenza ha scelto di adottare policy proprie, in attesa che il panorama divenga almeno un po’ più trasparente. Tra queste realtà figura anche Google.
Criptovalute e advertising
Nel mese di marzo il gruppo di Mountain View ha annunciato l’intenzione di impedire l’acquisto di advertising sul proprio network a tutte quelle aziende che operano nell’ambito di Bitcoin, Ethereum, Litecoin e delle altre monete virtuali. Una misura in vigore da giugno, che vieta di pubblicizzare ICO (Initial Coin Offering) e wallet, così come consulenze e strumenti dedicati al trading. Questo per tutelare l’utente finale, tenendolo al sicuro dalle tante insidie che hanno accompagnato e ancora stanno accompagnando la crescita del business connesso alle criptovalute. Le cose cambieranno però da ottobre, come si legge in un update del regolamento di bigG relativo alla sponsorizzazione di servizi finanziari.
La policy di Google Ads in merito a prodotti e servizi finanziari sarà aggiornata nell’ottobre 2018 per consentire alle realtà attive nello scambio regolamentato di criptovalute la promozione negli Stati Uniti e in Giappone.
Parziale dietrofront, dunque, anche se con alcune limitazioni: anzitutto, per l’avvio di una campagna pubblicitaria dovrà preventivamente essere richiesta un’autorizzazione e il materiale verrà attentamente esaminato prima di finire online. Inoltre, in un primo momento l’advertising potrà essere mostrato esclusivamente nei territori di Stati Uniti e Giappone. Non è del tutto chiaro quali siano le tipologie di inserzioni che Google accetterà, ma pare che il ban continuerà ad essere in vigore per quelle citate poc’anzi (ICO, wallet e trading).
La posizione dei big online
Altri nomi importanti del panorama online hanno scelto di percorrere una strada del tutto simile a quella del gruppo di Mountain View. Facebook, Twitter e Snap hanno fatto altrettanto, con il social network di Mark Zuckerberg tornato sui propri passi nel mese di giugno, ma anch’esso applicando severe restrizioni e chiedendo obbligatoriamente l’ottenimento di un’autorizzazione agli inserzionisti.
Per quanto riguarda in particolare bigG, considerando che l’86% circa dei profitti generati dalla parent company Alphabet (oltre 54 miliardi di dollari nella prima metà dell’anno) è ancora legato alle pubblicità, l’intenzione sembra quella di non voler perdere l’occasione di beneficiare di un giro d’affari in forte crescita come quello legato alle monete virtuali. Google lo farà però cercando il giusto equilibrio tra le proprie esigenze di business e la necessità di tutelare l’utente, il destinatario finale delle campagne di advertising.