Il presidente di Google Eric Schmidt ha scelto le pagine a tinte forti del tabloid britanico The Daily Mail per aggiornare i cittadini e le autorità dei progressi fatti per combattere la pedopornografia online: le istituzioni non avranno più motivo per puntare il dito contro gli intermediari della Rete, Mountain View si sta adoperando per combattere gli abusi sui minori perpetrati in Rete.
Non è un caso che l’annuncio di Schmidt sia stato formulato nel Regno Unito: le autorità britanniche nei mesi scorsi hanno sollecitato una risposta forte dal parte degli operatori del Web, spingendoli a mettere a punto soluzioni tecniche in grado di sradicare la pedopornografia, per svincolarsi dalla responsibilità di mediare illegalità. Microsoft si è già messa in luce attrezzando Bing con un sistema di filtri sensibile a certe parole chiave, che innescano la comparsa di un banner che segnala l’illegalità di contenuti frutto di abusi sui minori, sviluppando sistemi di identificazione delle vittime degli abusi come la tecnologia PhotoDNA. Google promette di non essere da meno.
Schmidt illustra i progetti compiuti nei mesi scorsi, passi avanti in una strategia a lungo termine che ha finora visto al lavoro oltre 200 persone solo negli ultimi tre mesi. In primo luogo, l’ affinamento degli algoritmi , che ha “ripulito” i risultati di 100mila query dai link a sfondo pedopornografico e che presto si estenderà a 150 lingue del mondo: “nessun algoritmo è perfetto – ammette però Schmidt – e Google non può impedire preventivamente ai pedofili di aggiungere nuove immagini al Web”. Inoltre, in risposta a 13mila parole chiave, e in risposta alla volontà del primo Ministro britannico Cameron, Google mostra ora degli avvertimenti espliciti : i contenuti frutto di abusi sui minori sono illegali, si spiega nei banner, esistono delle istituzioni che possono porgere aiuto.
Se Google promette di interrompere i link con le immagini pedopornografiche, Schmidt assicura di operare anche attivamente, sul fronte dell’individuazione degli abusi: accanto al sistema di classificazione e di tracciamento delle immagini sviluppato da Microsoft, Google ha messo sul piatto una tecnologia che sembra derivare da VideoID, già utilizzata per identificare i video su YouTube. Se è necessario del personale umano per “distinguere tra immagini innocenti di bimbi che fanno il bagnetto e reali immagini degli abusi”, la tecnologia può tenere traccia del replicarsi dei video. Google sta mettendo a punto una soluzione di questo tipo, per poterla offrire alle numerose organizzazioni che operano contro l’abuso sui minori.
Ma se gli sforzi di Google sono stati accolti dal plauso istituzionale , c’è chi lamenta una falla non da poco nei meccanismi approntati dai privati rispetto al modo di operare di chi sfrutta i minori: “Non vanno su Google per cercare le immagini – avverte un rappresentante del Child Exploitation and Online Protection Centre ( CEOP ) – si rivolgono agli angoli più bui di Internet e ai siti peer-to-peer”. A questo, però, penseranno le istituzioni: le forze dell’ordine del Regno Unito collaboreranno con quelle statunitensi per dare un respiro ancora più globale alla lotta contro la pedopornografia.
Gaia Bottà